Giudici di Milano, «Fatima: determinata a compiere atti di terrorismo»

27 Feb 2017 14:32 - di Lorenza Mariani

Più trapela dalle motivazioni della condanna a 9 anni emessa nei confronti di Maria Giulia Sergio, meglio conosciuta come Fatima, prima foreign fighter italiana andata in Siria nel 2014, e più aumentano orrore e sconcerto questa ambigua figura che, gli atti del processo e la sentenza che l’ha vista condannare in contumacia, descrivono come «fortemente determinata a dare il proprio contributo all’attuazione delle azioni terroristiche, ed anzi era desiderosa di compierle in prima persona». Il suo “scopo” era «contribuire alla crescita ed al rafforzamento dell’Isis anche attraverso l’ arruolamento dei familiari» che, se non fossero riusciti a raggiungerla, avrebbero dovuto fare «il jihad in Italia».

I giudici, Fatima determinata a compiere azioni di terrorismo

Non solo: nelle 98 pagine di motivazioni del verdetto, i giudici sottolineano «l’unicità di questo procedimento» da cui sono emersi molti dettagli sullo «smistamento dei foreign fighter» e sul «funzionamento» interno dello Stato islamico. Quindi analizzano «le condotte poste in essere in Siria» da Fatima, la quale «aveva iniziato ad addestrarsi all’uso delle armi» perché voleva combattere per l’Is. La Sergio – di cui la sorella Mariann, a sua volta sotto processo con l’accusa di terrorismo intenrazionale, ha ammesso di non avere più notizia da molto tempo, tanto da indurla a pensare che Fatima sia morta – per i giudici ha avuto anche un ruolo dalla Siria «nel coinvolgimento dei propri familiari: è a seguito delle sue insistenze, e della sua offerta di aiuto nell’organizzazione del viaggio, che questi avevano deciso di raggiungere i territori dell’Isis». Il padre, la sorella Marianna e la madre di Fatima (morta nei mesi scorsi) erano stati invece arrestati nel luglio del 2015, prima che potessero lasciare l’Italia alla volta della Turchia, prima, e della Siria, poi.

Voleva che i suoi si immolassero alla causa jihadista

«L’insistenza di Maria Giulia» sui familiari, si legge ancora nelle motivazioni dei giudici della sentenza, «spesso connotata da toni aggressivi e comunque perentori, faceva leva soprattutto sull’inderogabile obbligatorietà per ogni musulmano dell’egira, ovvero del viaggio verso la “terra dello Sham” dove si è instaurato il Califfato». Lei, scrive la Corte, «non intendeva organizzare semplicemente un viaggio di “ricongiungimento familiare”, bensì voleva che anche i suoi familiari rispondessero alla chiamata individualizzata al jihad, lanciata dai vertici dell’Is, fornendo il proprio contributo personale». E loro, decisi a immolarsi sull’altare della causa jihadista, erano pronti ad obbedire: almeno finchè la magistratura non è intervenuta rovinando i piani criminali di Fatima e affiliati.

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