25 anni fa l’arresto di Chiesa, l’inizio di “Mani pulite”, la fine della Prima Repubblica

12 Feb 2017 18:20 - di Bianca Conte

Era il 1992, esattamente il 17 febbraio di 25 anni fa, quando, con l’arresto di Mario Chiesa, prima vittima illustre della famosa operazione Mani pulite avviata dal pool di magistrati  di Milano, cominciava l’era di Tangentopoli. O meglio, finiva alla sbarra un sistema in funzione da tempo, che avrebbe smascherato e puntato l’indice contro imputati illustri, arrivando a delegittimare, prima, e a demolire, poi, un intero sistema: il sistema passato alla storia come quello della “Prima Repubblica“.  

I 25 anni di Mani Pulite

Sono poco dopo le 17.30 di lunedì 17 febbraio 1992, quando, nel suo ufficio al Pio Albergo Trivulzio, Mario Chiesa viene arrestato per concussione per una tangente da 14 milioni che gli era stata appena consegnata da un giovane imprenditore, Luca Magni, che aveva messo a punto l’operazione per “incastrare” Chiesa con l’allora sostituto procuratore a Milano Antonio Di Pietro, coadiuvati dal capitano dei carabinieri Roberto Zuliani. Si apre così quello che, il giorno dopo, sarebbe stato ribattezzato come il caso Chiesa, ma che presto sarebbe diventato l’emblematico tassello del mosaico Tangentopoli, fatto di corruzioni e concussioni, tangenti e appalti truccati, che sarebbe passato alla storia sotto il titolo Mani Pulite, la più clamorosa inchiesta giudiziaria italiana. Una lunga, articolata e laboriosa indagine che, inziata nel febbraio nel ’92 avrebbe però conosciuto la sua massima espansione solo nel 1993 mentre la Prima Repubblica cade sotto i colpi degli avvisi di garanzia, la mafia torna ad alzare il tiro a suon di stragi e attentati, l’economia del Paese subisce un vero e proprio tracollo e ben 70 Procure italiane avviano filoni sulla corruzione nella pubblica amministrazione, sviluppando procedimenti a carico di 12.000 persone. Nella cittadella giudiziaria milanese le indagini alzano il tiro sul sistema delle imprese e sulle sue intrinseche quanto sotterranee commistioni con la politica.

La fine della “Prima Repubblica”

Nessuno sembra essere risparmiato: dopo il ‘sistema Milano’ e i provvedimenti assunti a carico dei vertici di Psi e Dc, che hanno dominato’ il 1992, a partire dal 1993 le inchieste coinvolgono un po’
tutti, dal Pci-Pds e, tra i colossi dell’economia, la Fiat, l’Eni, l’Enel, l’Olivetti, la Montedison. Alla fine, niente sarà più come prima, soprattutto tra i partiti, i primi a cadere sotto i colpi della mannaia giudiziaria. E allora, il 1993 si apre con il primo no del Parlamento alla Procura di Milano e ad Antonio Di Pietro: con 180 voti contrari, il 13 gennaio la Camera respinge l’autorizzazione a procedere richiesta per Giancarlo Borra, deputato democristiano di Bergamo, finito nelle maglie di Tangentopoli e divenuto, a Montecitorio, il ‘caso’ sul quale provare le forze in vista di ben altro dibattito parlamentare, quello per l’autorizzazione a procedere richiesta, in 122 pagine di accuse, nei confronti del leader socialista Bettino Craxi, raggiunto da un avviso di garanzia nel dicembre del 1992. Il 29 gennaio, però, insieme ad una nuova raffica di avvisi di garanzia relativi al filone dell’energia, viene perquisita la segreteria amministrativa nazionale del Psi, in via Tomacelli a Roma. Craxi parla di “golpe”: ma per lui è l’inizio della fine. Il 9 febbraio lascia la segreteria del partito che, per circa tre mesi, sarà retta dall’ex segretario della Uil Giorgio Benvenuto, e che poi sarà sostituito da Ottaviano Del Turco.

La geografia politica va in pezzi

Ma Bettino Craxi non è che il primo dei segretari nazionali del pentapartito a “lasciare” la loro direzione in seguito alle inchieste milanesi. Il 25 febbraio tocca a Giorgio La Malfa: accusato di un finanziamento illecito, il politico lascia la segreteria nazionale del Partito repubblicano. Pochi giorni dopo è Ciriaco De Mita, già segretario nazionale della Dc, ad abdicare alla presidenza della Commissione bicamerale per le riforme, in seguito all’inchiesta scandalo sulla ricostruzione dell’Irpinia che ha coinvolto il fratello Michele. Nemmeno due settimane dopo Renato Altissimo si dimette dalla segreteria del Partito liberale. La fine di marzo segna la fine della segreteria del Psdi per Carlo Vizzini. A giugno, poi, si scioglie la Dc: il 22 di quel mese il leader del movimento referendario Mario Segni abbandona Piazza del Gesù. Il giorno dopo, il segretario Mino Martinazzoli decreta la fine del biancofiore.

L’addio a Craxi e l’inizio di una nuova era

Il sistema partitico implode e la politica cerca di riorganizzarsi: a cominciare da qualche riforma tesa ad affrontare il capitolo della corruzione, e che rappresenta il tentativo di aprire un dialogo con la magistratura. Ma quel dialogo non fiorirà mai. Il resto è cronaca giudiziaria: la riforma dell’articolo 68 della Costituzione che regola le garanzie degli eletti culminata nella sostanziale rinuncia al beneficio sancito dal divieto di indagare sui parlamentari a meno che le Camere stesse non abbiano dato il loro consenso.  L’arrivo delle richieste di autorizzazioni a procedere inviate dalla Procura di Milano nei confronti di Bettino Craxi e, nonostante l’accesa difesa dell’ex segretario socialista, la decisione di abbandonare il leader socialista al suo destino. La geografia dei partiti italiani va in mille pezzi: e  sulle ceneri della prima Repubblica nasce una nuova era…

 

 

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