Messico, cento anni fa la “Revoluciòn” incompiuta di Pancho Villa e Zapata

14 Gen 2017 19:22 - di Antonio Pannullo

Cento anni fa finiva in Messico la prima parte di quella sanguinosa Revoluciòn che rinase incompiuta e che divorò se stessa. Nessuno dei protagonisti di quella epopea, da Villa a Zapata, da Madero a Huerta, da Carranza a Obregon, morì nel proprio letto. In Messico dicono che i tre grandi guai che hanno sempre afflitto il Paese sono: il clero, i militari e la classe politica. Ma in realtà il problema del Messico ha radici ancora più profonde, e risalgono alla conquista spagnola, che concentrò le terre nelle mani di pochissimi proprietari, il più grande dei quali appunto era la chiesa. La Rivoluzione messicana fu la prima delle rivoluzioni del XX secolo. Iniziò nel 1910 e terminò nel 1917, anche se molti storici dicono che finì solo nel 1930, pur se intervallata da periodi di pace, non molti per la verità. Oggi si stima che complessivamente abbia causato all’incirca 900mila morti, ma fu anche fautrice della costituzione del 1917, considerata una delle più eque e moderne della storia, almeno sulla carta. La rivoluzione fu caratterizzata da una parte di scontri piccoli e grandi tra eserciti e bande, piccole e grandi, comandati da signori e signorotti della guerra che cambiavano repentinamente alleanza, causando una confusione indescrivibile, come molti osservatori esterni hanno sottolineato; dall’altra si caratterizzò per l’incredibile numero di editti, messaggi, manifesti, programmi, che di volta in volta i leader rivoluzionari mettevano a punto per poi disattenderli puntualmente.

In Messico i guai si chiamano clero, militari e latifondisti

Lo stato di malessere sociale era causato dalla dittatura del generale Porfirio Diaz, iniziata nel 1876, un vero padre-padrone del Messico, che però aveva anche un numero non esiguo di sostenitori e di estimatori. Il regime aveva già causato negli anni a cavallo tra i due secoli diverse rivolte e tumulti, sempre represse duramente. Ma nel 1910 l’uomo politico liberale Francisco Madero ottenne un certo seguito nel Paese e iniziò una dura lotta contro l’oppressore Diaz. Quell’anno successe che Madero perse le elezioni presidenziali contro Diaz, e allora si rifugiò negli Stati Uniti con altri esponenti liberali, stilando un documento con cui si invitavano i messicani a prendere le armi contro il governo di Città del Messico. A fine anno scoppiarono insurrezioni armate durante le quali di sarebbero distinti condottieri che poi sarebbero diventati famosi anche oltre i confini dello Stato centroamericano: Pancho Villa, Emiliano Zapata, Venustiano Carranza, Alvaro Obregon e persino il nipote di Giuseppe Garibaldi, Peppino, che era poi il figlio di Ricciotti Garibaldi. Il regime fu rovesciato in meno di un anno e Diaz costretto all’esilio in Francia, ma le lotte tra i vari protagonisti della Revoluciòn, incapaci di mettersi d’accordo e motivati da fortissime ambizioni personali, proseguirono a lungo. Va anche detto che questo tipo di rivoluzione attirò in Messico ogni razza di avventurieri: sognatori, che pensavano che fosse una nobile lotta di classe, banditi, che volevano accaparrarsi posti e prebende nel nuovo governo, mercenari, che combattevano semplicemente per il miglior offerente, salvo poi tradirlo quando c’era qualcuno che pagava meglio. La letteratura e il cinema hanno poi ben raccontato tutti questi eventi avventurosi. Così Madero divenne presidente, ma a lui era riservata una tragica sorte: deciso a attuare le riforme a piccoli passi, fu accusato dagli stessi maderisti di aver tradito la Revoluciòn, e così Zapata insorse contro di lui. Per fermarlo, Madero nominò capo dell’esercito Victoriano Huerta, ma fu proprio lui che effettuò un contro-golpe e lo fese assassinare nel fennraio del 1913. Così Madero non ebbe né l’appoggio dei suoi né quello degli esponenti del vecchio porfirismo.

In Messico si calcola siano morte 900mila persone nella rivoluzione

Huerta insaturò una dittatura ancora più feroce di quella di Diaz, fino a che anche lui, nel 1915, fu costretto all’esilio. E il problema dei latifondi rimaneva irrisolto. Seguirono anni di vera e propria guerra civile, nel corso dei quali i vari condottieri si combatterono e uccisero a vicenda. Ma malgrado la guerra infuriasse, nel 1917 fu promulgata la nuova Costituzione, che prevedeva per il governo il potere di espropriare i latifondisti per realizzare la tanto sospirata riforma agraria, maggiori tutele per gli operai, limitazioni al potere del clero nella sfera della cosa pubblica, la gestione da parte dello Stato delle risorse del sottosuolo. Su tutto questo, non va dimenticato il ruolo degli Stati Uniti che, pur non comprendendo bene il significato della Rivoluzione messicana, tuttavia intervennero, spesso facendo danni, a sostegno dell’uno o dell’altro contendente, cercando sempre di tutelare i loro interessi e soprattutto cercando di mettere le mani sulle risorse minerarie del loro più debole vicino. Tuttavia gli scontri armati, placatisi dopo la promulgazione della Costituzione, ripresero violenti e andarono avanti almeno sino al 1930.

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