60 anni fa l’addio a Humphrey Bogart, il “duro” che piaceva alla destra

14 Gen 2017 19:42 - di Antonio Pannullo

Sessant’anni fa, alle 2 di notte del 14 gennaio, Humphrey Bogart diceva alla moglie Lauren Bacall “addio bambina”, anziché il consueto “buonanotte, bambina”. Era nato il 22 gennaio 1899, e in gennaio se ne andò. 75 film, quattro mogli, due figli, un Oscar sono il bilancio della sua vita breve ma intensa, come disse il suo grande amico John Huston nell’elogio funebre. La veste di gangster che gli hanno cucito addosso farebbe pensare che fosse nato e vissuto in quartieri malfamati: nulla di tutto questo. Bogart veniva da una famiglia benestante, il padre era uno stimato chirurgo e la madre un’illustratrice alla moda, e abitavano in una bella casa nello West Side a New York. Aveva delle sorelle minori con cui trascorse un’infanzia felice. Piccolissimo, la madre gli fece un ritratto che poi fu utilizzato per la pubblicità di una ditta di omogeneizzati. I problemi arrivarono con l’adolescenza: non gli piaceva la scuola, non riusciva, non si adattava alle regole, e presto divenne una specie di ribelle. Dopo la bocciatura al liceo, Bogart si arruolò in Marina senza neanche passare da casa. Servì per tutta la Grande Guerra e, tornato in patria, si adattò ad alcuni lavoretti finché un suo amico di infanzia gli trovò occupazione in un teatro. Mentre coordinava gli spettacoli, si diede da fare per procacciarsi qualche piccola parte. Per tutti gli ani Venti lavoricchiò con interpretazioni minori in film di second’ordine. In uno di questi film conobbe la sua prima moglie, Helen Menken, attrice già affermata. Ma il matrimonio si sfasciò nel giro di un anno e poco dopo Bogart sposò un’altra sua collega, Mary Philips, con la quale aveva già lavorato. Negli anni successivi lavorò tra cinema e teatro, riscuotendo il suo primo vero successo nel 1935 in La foresta pietrificata, ruolo che poi interpretò anche sullo schermo. La Warner Brothers si accorse di lui e lo ingaggiò, affidandogli però sempre la stessa parte, appunto quella di un gangster: si calcola che in pochi anni Bogart sia finito 8 volte sulla sedia elettrica e abbia accumulato centinaia di anni di prigione. Rimase per un po’ imprigionato in questo ruolo, anche perché la casa produttrice non lo lanciava, preferendogli attori come James Cagney, Edward G. Robinson, George Raft e altri.

Bogart ha avuto quattro mogli e due figli. E un Oscar

Intanto, nel 1928, aveva divorziato dalla sua seconda moglie e aveva sposato l’attrice Mayo Methot, una piccoletta dal carattere bellicoso come lui: i due non tardarono a dare spettacolo delle loro furiose liti anche in pubblico. Lei lo chiamava Bogey, lui Sluggy, e si insultavano sempre. Bogart beveva e diceva tutto quello che pensava, e a Hollywood si accorsero presto che era nato un nuovo personaggio, in cui l’attore era molto simile all’interprete: cinico, disincantato, burbero, ma compassionevole e tollerante nei confronti dei difetti del prossimo. E soprattutto con un codice morale intaccabile: questa forse è la caratteristica che lo ha fatto e lo fa ancora amare. Sempre John Huston disse al suo funerale: “Bogey non ha mai preso sul serio se stesso, ma il suo lavoro sì”: Bogart infatti era puntuale, coscienzioso, un vero professionista, cosa rara in quei tempi di divi capricciosi. Nel 1943 girò il film per cui oggi è maggiormente ricordato, Casablanca, di Michael Curtiz, in cui interpreta Rick, un duro dal cuore tenero che alla fine si sacrifica per la donna amata, che poi altri non era che Ingrid Bergman, bella – e brava – come non mai. Fu indirettamente la causa della fine del suo terzo matrimonio, perché la moglie si era convinta che tra i due vi fosse qualcosa e lo tormentò per mesi e tentò anche di suicidarsi. Ma durante le riprese del film successivo, Acque del Sud, di Howard Hawks, dal romanzo di Ernest Hemingway, Bogart si innamorò della sua giovanissima partner, Lauren Bacall, allora appena diciottenne. Bogey ne aveva 45. Ma non fu un ostacolo. Iniziò allora quello che Bogart descrisse come il periodo più felice della sua vita, col corteggiamento e poi con il suo quarto e ultimo matrimonio. Che durò tutta la vita. Era il 1945, e Bogart era al vertice della carriera.

Bogart, discontinuo nei privato, sul lavoro era professionale

Ogni suo film era un successo: Sahara, Nebbie, Il grande sonno, nella parte di Philip Marlowe, Il tesoro della Sierra Madre, I bassifondi di San Francisco, la Regina d’Africa, del 1952, per il quale vinse l’Oscar come attore protagonista, Sabrina, Non siamo angeli, fino a Il colosso d’argilla, del 1956, durante le cui riprese si sentì male. Era sempre stanco. A marzo gli scoprirono un tumore all’esofago e subì un intervento di otto ore che lo debilitò moltissimo. Per nove mesi cercò di rimettersi, ma senza successo, fino a quella mattina del 14 gennaio. Venne cremato a Beverly Hills mentre si svolgeva il suo servizio funebre nel corso del quale il reverendo lesse Crossing the bar di Tennyson, uno dei poemi preferiti di Bogart, e Huston pronunciò l’accorato discorso funebre. Vicino il carrello della cremazione, la moglie aveva voluto mettere un modellino della barca Santana, vero secondo amore di Bogart, a bordo della quale aveva trascorso infiniti fine settimana, da solo o con la famiglia. Tra i presenti, Gregory Peck, Marlene Dietrich, Gary Cooper, Katharine Hepburn, Dick Powell, Nunnally Johnson e moltissimi altri attori e protagonisti del mondo di Hollywood. Chiudiamo ancora con le parole di John Huston: “Egli ottenne quello che chiedeva dalla vita e anche di più. E’ una perdita incolmabile”. Bogart è uno dei pochissimi divi che sopravvive ai decenni, a differenza di altri intramontabili: ancora oggi tutti lo conoscono e quando qualche tv rimanda uno dei suoi successi ci fermiamo a guardarli. Perché Bogart ha dimostrato che non bisogna essere belli, o simpatici, o aitanti, per avere successo nella vita: basta essere se stessi, dire quello che si pensa e avere il coraggio delle proprie idee, quali che siano. Per questo è ancora ricordato.

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