La denuncia di un esperto: «Quell’hotel non doveva essere costruito lì…»

20 Gen 2017 12:28 - di Alessandra Danieli

«In questi anni non abbiamo per nulla rispettato la natura prendendo esempio e imparando anche dai contadini
di una volta, i quali avevano memoria storica di eventi già accaduti. L’albergo, con ogni probabilità non avrebbe dovuto essere in quel posto». È una denuncia pesante quella di Gilberto Pambianchi, presidente nazionale dell’Associazione italiana di geomorfologia e docente dell’Università di Camerino, a proposito della collocazione dell’hotel Rigopiano ai piedi del Gran Sasso spazzato via da una slavina e diventato teatro di morte.

L’inchiesta sull’hotel Rigopiano

L’albergo, costruito a 1200 metri, in passato è stato al centro di un’inchiesta della magistratura (finita con un processo a l’assoluzione) per abusivismo edilizio. L’hotel era gestito dalla società Gran Sasso Resort, a cui lo aveva ceduto, a seguito del fallimento, la società Del Rosso Srl dei cugini Marco e Roberto Del Rosso, ex gestori della struttura. La struttura aprì i battenti nel 1972 ma assunse una veste completamente nuova nel 2007, quando fu ristrutturata e dotata di tutti i confort, tra cui centro benessere e piscina, nel 2007. La vicenda processuale, riportata da Tiscali news, risale al 2008 ed è legata all’ampliamento e alla trasformazione di quello che era un edificio modesto, in un resort a 4 stelle. La vicenda è un filone dell’inchiesta “Vestina”, denominata così dal nome della Val Vestina e condotta dal pm Gennaro Varone: sette gli indagati (tutti assolti nel novembre 2016) e tra questi l’allora sindaco di Farindola ed ex assessori. Secondo l’accusa gli amministrator, in cambio di favori, avevano votato a favore della delibera del 30 settembre  finalizzata a «sanare l’occupazione abusiva di suolo pubblico da parte della società Del Rosso”, come si legge in un articolo del Centro dell’epoca, « in un’area fino ad allora adibita a pascolo del bestiame e compresa in un’area naturalistica protetta». L’autorizzazione a sanatoria si basava sul presupposto che l’occupazione non costituisse abuso edilizio per «mancata, definitiva trasformazione del suolo».

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