Economia, gli errori di Renzi inguaiano anche il 2017: ecco perché

1 Gen 2017 17:59 - di Antonella Ambrosioni

Grosse grane funestano la nostra situazione economica. Il combinato disposto della politica totalmente sbagliata dal governo Renzi e della pesantissima situazione internazionale hanno determinato una spirale perversa i cui effetti pesano e peseranno nei prossimi mesi del 2017. Un eredità pesante ci aspetta. Esaminiamo punto per punto i nodi di una crisi negata a lungo da Renzi e gli aspetti caldi di un complesso rapporto con l’Europa, con la quale solo alla fine Renzi ha fatto la voce grossa. Inutilmente.  Dal rialzo dei prezzi del petrolio all’impatto di Brexit e dell’elezione del neopresidente Usa Donald Trump sui mercati, passando per i problemi della zona euro, tra bassa inflazione e disoccupazione: sono questi i fatti e le tendenze più significative dell’anno passato secondo il Guardian.

Bassa inflazione dell’eurozona– Un grande problema. Nonostante il massiccio programma di stimolo di Quantitative easing della Banca centrale europea, l’inflazione nel blocco dei paesi della moneta unica resta ancora lontano dall’obiettivo di un livello “inferiore  ma vicino al 2%”. In Italia da prima dell’estate scorsa eravamo in deflazione – che vuol dire stagnazione, economia ferma –  ma Renzi pensava al referendum e alle mance pre-referendarie, senza occuparsi di un problema strutturale che sta stritolando l’economia europea, oltreché la nostra. Oltre alla bassa inflazione, la zona euro si trova ancora alle prese con una disoccupazione elevata soprattutto in Italia e Francia. Gli osservatori rilevano come come la sconfitta del premier Matteo Renzi al referendum sulla riforma costituzionale sia arrivato nel mezzo di una crescita che stenta a decollare e una disoccupazione all’11,6% a ottobre. In lieve calo al 9,7% il tasso dei senza lavoro in Francia, ma superiore ai livelli pre-crisi e con un rialzo di quella giovanile, come hanno dimostrato le massicce proteste di Parigi dei mesi scorsi. Italia e Francia sono i due paesi guarda caso a  guida centrosinistra che hanno espresso le peggiori performance economiche. La Spagna, quando ancora non aveva un governo insediato, era riuscita a crescere, mentre da noi Renzi andava in sollucchero per gli “zero virgola”.

Petrolio– Ancorata a queste difficoltà di crescita c’è il disagio provocato dall’aumento del petrolio Dopo essere crollato fino a 30 dollari al barile per la prima volta negli ultimi 13 anni all’inizio del 2016, il greggio di recente è tornato a salire. A incidere sui listini l’accordo tra paesi Opec e non Opec sul taglio della produzione che ha portato l’oro nero sopra i 57 dollari al barile, ai massini degli ultimi 17 mesi, +54% sull’intero anno. Vuol dire benzina più cara.

Brexit– L’impatto sui mercati del referendum che ha sancito l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue è stato contenuto grazie all’intervento della Banca centrale britannica e della Bce. Tuttavia secondo gli analisti non bisogna sottovalutare la debolezza della sterlina e gli effetti dell’incertezza legata alla durata dei negoziati per il  divorzio di Londra da Bruxelles, che potrebbero creare turbolenza nei mercati europei. 

Oro. Anno movimentato per il metallo giallo che tra instabilità  politica e speculazioni sui tassi americani, ha concluso il 2016 in  leggero apprezzamento. Sull’intero 2016 l’oro ha guadagnato oltre il  9%, ma in calo del 16% rispetto ai massimi di luglio. Atteso un calo  nel 2017 perché secondo gli analisti la risalita dell’inflazione per  effetto degli annunci di Trump, il rialzo dei tassi della Fed e  l’apprezzamento del dollaro riducono l’interesse per l’oro, bene  rifugio nelle fasi di instabilità del biglietto verde. Anche in questo settore gli analisti sono stati miopi. Quella che doveva essere l’Apocalisse per l’America – l’elezione di Trump- si sta rivelando un volano per l’economia Usa.

Rallentamento del commercio globale-  Il Guardian mette anche un altro indicatore, il Baltic Dry Index, tra gli  indici a cui guardare per cogliere i trend globali poco sereni  del 2017. I cali  dell’indice che misura i costi di trasporto a secco delle materie  prime come il carbone, il riso e il grano preoccupano gli economisti  che vi vedono il preludio di un rallentamento delc ommercio globale e  dunque dell’attività economia. A febbraio il Baltic Dry Index è sceso  ai minimi storici di 290 punti, ma poi ha recuperato risalendo a 961  punti a novembre. Resta tuttavia ben al di sotto del picco di 11.793  punti del maggio 2008. Va da sé che in un’economia globale interconnessa, gli equilibri dei singoli paesi subiscono effetti collaterali in realazione all’accortezza delle misure messe in atto dalla politica. Per l’Italia tali danno saranno  più complicati, neanche a dirlo…

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *