Progetto federativo europeo: i Paesi uniti nella diversità

21 Dic 2016 13:03 - di Lino Lavorgna

In un precedente articolo, presente in questa rubrica, è stato affrontato lo spinoso problema dei confini geografici dell’Europa. Il dato più importante, tuttavia, è rappresentato dalla necessità di creare i giusti presupposti per un progetto politico proteso all’istituzione degli Stati Uniti d’Europa. Le contingenze continentali, anche alla luce delle ultime vicende, legate tanto al terrorismo quanto alle problematiche economiche, non consentono più atteggiamenti dilatori. Solo uniti si vince.

Quell’idem sentire che manca

Una entità nazionale, però, anche se caratterizzata da una federazione di più stati, deve essere supportata da elementi di omogeneità che possano configurarsi come idem sentire, prescindendo dalle inevitabili differenziazioni retaggio della millenaria storia. Già così traspaiono le insidie che rendono l’impresa ardua; la realtà, poi, è ancora più complicata e pregna di delicatissimi problemi, per lo più mal gestiti da governanti e tecnocrati capaci solo di rendere l’attuale Unione europea invisa a tante persone. È evidente che l’Europa politica non può comprendere tutti gli stati del continente: marcate disomogeneità determinerebbero sul nascere il fallimento del progetto federale. Prima di individuare l’ossatura della possibile Federazione, pertanto, è opportuno stabilire dei punti fermi.

La scelta sofferta

Georgia, Armenia, Azerbaigian. Tre paesi che contano complessivamente circa 17milioni di abitanti, dipanati su un territorio di 186.000 km² (più o meno il centro-sud dell’Italia, isole comprese). Un crogiuolo di culture asiatiche ed europee che costituiscono una fetta importante della storia dell’umanità; un territorio ancora oggi caratterizzato da forti tensioni politiche ed economiche. Alcuni studiosi fissano proprio nella catena montuosa del Caucaso il confine geografico tra Europa e Asia; altri, invece, pongono il serio problema che una catena montuosa non separa proprio nulla e che se si guarda agli aspetti storico-politici e culturali, tutta la regione caucasica “può” essere considerata parte dell’Europa. Basta visitarla l’Armenia, del resto, per rendersi conto che l’europeità si percepisce e anche marcatamente. In Georgia e Azerbaigian un po’ meno, ma è chiaro che i tre paesi costituiscono un’unica regione continentale. Cionondimeno, nella nuova cartina geografica, delineata come punto di partenza per un efficace progetto federativo, questi paesi si trovano a Est del confine fissato e quindi in Asia.

Quei discorsi chiusi in partenza

Ogni discorso sul possibile processo d’integrazione, pertanto, è chiuso in partenza, fermo restando l’importante presupposto di promuovere una cultura che spinga i popoli ad abbassare quanto più possibile le barriere divisorie imposte dai confini e imparare a convivere civilmente, esaltando al massimo i punti comuni, privilegiando l’aspetto politico su quello economico e gestendo quest’ultimo in modo che, a prescindere dalle aree geografiche convenzionalmente definite, non si creino squilibri. Utopia? Certo! Per ora lo è! Ma questa è la strada da seguire e questi sono i princìpi da inculcare alle nuove generazioni. Per i tre paesi caucasici, poi, vanno tenuti in debita considerazione anche importanti aspetti della loro politica interna. Fanno tutti parte del Consiglio d’Europa che, è bene precisarlo, è un organismo esterno all’Unione Europea e si propone di “promuovere la democrazia, i diritti umani, l’identità culturale europea e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali in Europa” (con quanto scarso successo, è un dato ben percepibile da chiunque. Meno noti sono i costi della struttura, che ha sede a Strasburgo, e la bella vita dei dipendenti e di tutti coloro che, a vario titolo, a essa sono legati con specifiche funzioni, nei 47 stati membri). Dei tre paesi, l’Armenia è quello che avrebbe più numeri per una possibile integrazione continentale, in virtù della sua storia. Il sentimento è condiviso da larghi strati della popolazione. Paradossalmente, però, l’attuale governo armeno ha tirato un sonoro schiaffo all’Unione Europea, rifiutando di sottoscrivere l’accordo di libero scambio con Bruxelles per rifugiarsi sotto l’ala protettrice di Putin, con l’entrata del Paese all’interno dell’unione doganale euroasiatica guidata da Mosca. Le ragioni di questa decisione sono molteplici e complesse e non possono essere sviscerate in questo contesto. Ne riparleremo.

Il fervore in Armenia

L’Azerbaigian, a livello politico, spinge per l’ingresso in Europa, mentre nell’opinione pubblica non vi è lo stesso fervore che si registra in Armenia. Il paese è ancora impegnato in un latente conflitto con l’Armenia, avanzando “illegittime” pretese sul Nagorno-Karabakh. Tutte cose che già ora confliggono con i presupposti per l’ingresso nell’Unione e si tramuterebbero in un ostacolo ancora più insormontabile per l’eventuale progetto federale. La Georgia vuole entrare nell’Unione, ma la sua democrazia è ancora traballante e sarebbe illusorio sperare in “miglioramenti” a medio termine, auspicati senza troppa convinzione in taluni contesti diplomatici, che lasciano chiaramente trasparire le condivise riserve sul suo ingresso. Nel suo seno, poi, permangono sostanziali e insanabili divisioni, per le quali vale quanto scritto sopra, relativamente all’Azerbaigian. L’Abcasia e l’Agiaristan reclamano l’indipendenza e si sentono fortemente legate alla Russia. La prima regione ha addirittura un proprio esercito e l’odio nei confronti dei georgiani sfociò in un vero e proprio massacro durante la guerra 1991-1993, riconosciuto dall’OCSE come “genocidio dei georgiani in Abcasia”. Circa 30.000 le vittime di una vera e propria “pulizia etnica”. Analoghi problemi si registrano con l’Ossezia Meridionale, che vorrebbe unirsi con l’Ossezia Settentrionale, ossia rientrare nella Federazione Russa. Una complessa matassa, qui solo accennata per grandi linee, ma sufficienti a far percepire quanto sia opportuno considerare inattuabile l’ingresso della Georgia nell’Unione.

Gli altri Paesi dell’ex Unione Sovietica

Bielorussia: sarebbe un’offesa all’intelligenza dei lettori obbligarli a leggere le ragioni del No secco al paese guidato da un dittatore, “democraticamente” eletto con percentuali vicino all’80%.

Moldavia: bel problema. Sarebbe davvero auspicabile vedere gli eredi dei Daci nell’Unione Federale e tutti dovrebbero visitare il delizioso staterello, per cogliere il calore di una popolazione ospitale e gentile e godersi i vari siti lungo il corso del Dniestr, a partire dai monasteri dove trovarono rifugio i cristiani durante l’invasione dei Tartari, nel 13° secolo. Sarebbe politicamente complicato, però, accettare la Moldavia ed escludere la Romania, che proprio non ha i presupposti per entrare negli Stati Uniti d’Europa, anche se fa parte dell’Unione Europea dal 2007, portando nel suo seno un bel po’ di problemi. Siccome questa “visione europea” è ancorata esclusivamente a presupposti “ideali”, la Moldavia sarà presente nell’elenco degli stati federati, mentre sarà esclusa la Romania, pur nella consapevolezza dell’assoluta impossibilità che tale assunto possa trovare pratica attuazione.

I Paesi dell’ex Jugoslavia

Occorrerebbe un intero saggio per spiegare le complesse ragioni della loro esclusione dal progetto federativo. E’ sempre doveroso pesare le parole quando si parla di certe problematiche e, in questo caso, bisogna pesarle con il bilancino del farmacista, per evitare equivoci. In mancanza di spazio adeguato, pertanto, meglio tacere, assumendosi solo la responsabilità di un NO profferito in scienza e coscienza, senza addolcitori tipo “per ora”, che rappresenterebbero solo una presa in giro. Ciò va fatto anche in segno di rispetto per tutti coloro che, nei vari Stati dell’ex Jugoslavia, alle pene per le tante sofferenze passate, aggiungono quelle scaturite dalla consapevolezza di aver raggiunto un equilibrio personale in linea con i dettami richiesti per ottenere, a pieno titolo, la patente di “europeo”.

Nella prossima e ultima puntata di questo trittico di articoli dedicati al progetto federativo europeo saranno delineate le linee guida per i futuri Stati Uniti d’Europa.

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