La Cassazione boccia la tassazione agevolata agli hotel dei religiosi

13 Dic 2016 18:32 - di Paolo Lami

Niente favoritismi e tassazioni agevolate agli hotel degli enti religiosi che lavorano secondo logiche di mercato. La Cassazione stabilisce che gli alberghi e i pensionati gestiti da enti religiosi o “no profit“, se vogliono godere di tassazione agevolata, devono offrire prezzi «significativamente ridotti» rispetto a quelli di mercato. Motivo? Altrimenti alterano il «regime di libera concorrenza» e usufruiscono di un beneficio che non gli spetta. E che si tramuta in un «aiuto di Stato». A svantaggio degli imprenditori privati del settore alberghiero.
La Suprema Corte da, così, ragione all’Agenzia delle Entrate contraria all’Ires ridotta per l'”Istituto delle Rosine” di Torino, grande “pensionato” vicino al Polo  universitario.
Ad avviso della Suprema Corte, la Commissione tributaria del Piemonte nel 2015 aveva sbagliato ad annullare l’avviso di accertamento, per la maggiore imposta Ires inviato dal fisco all’Istituto delle Rosine, sulla base della sola considerazione che si sarebbe trattato di «una struttura ricettiva che accoglie esclusivamente studentesse lavoratrici per brevi periodi di tempo con evidenti obiettivi sociali».
L’Agenzia delle Entrate ha fatto ricorso in Cassazione sottolineando che la tassazione ridotta non può prescindere da una valutazione e ricognizione dell’attività «concretamente svolta» dalle tante strutture ricettive gestite direttamente da enti religiosi o da cooperative non profit.
«Analogamente a quanto affermato in materia di Ici – sottolinea la Cassazione – lo svolgimento di attività di assistenza o di altre attività equiparate, senza le modalità di una attività commerciale, costituisce il requisito oggettivo necessario ai fini dell’agevolazione e va accertato in concreto, con criteri di rigorosità, e, dunque, verificando le caratteristiche della “clientela” ospitata, della durata dell’apertura della struttura e, soprattutto, dell’importo delle rette, che deve essere significativamente ridotto rispetto ai “prezzi di mercato“, onde evitare una alterazione del regime di libera concorrenza e la trasformazione del beneficio in un aiuto di Stato».
Per i supremi giudici, hanno colto nel segno le obiezioni avanzate dall’Agenzia delle Entrate e per cui «il pensionato costituiva di fatto una attività alberghiera, aperta al pubblico, e che avrebbe potuto essere gestita da qualunque imprenditore privato, e che, avuto riguardo ai redditi da fabbricati, gli immobili risultavano locati a privati secondo una logica di mercato».
Adesso la Commissione tributaria del Piemonte deve rivedere la sua decisione con la quale aveva accusato l’Agenzia delle Entrate di usare una logica«troppo restrittiva» nel valutare i criteri per la «detassazione».

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