Il re delle slot, Montecarlo, i conti dei Tulliani: l’inchiesta che inquieta la destra

15 Dic 2016 12:54 - di Adele Sirocchi

L’arresto del ‘re delle slot’, Francesco Corallo, e dell’ex parlamentare Pdl Amedeo Laboccetta ha riportato sotto i riflettori la vicenda della casa di Montecarlo, che ha compromesso definitivamente la carriera politica di Gianfranco Fini. Francesco Corallo era a capo di un’organizzazione che puntava al peculato, all’evadere il fisco del ricchissimo business delle ‘macchinette da bar’ col conseguente riciclaggio di cifre a sei zeri. Il tutto grazie ad una galassia di società, rigorosamente offshore, sparse in mezzo mondo.

L’inchiesta coinvolge Sergio e Giancarlo Tulliani

L’inchiesta della Procura di Roma, coordinata dal procuratore aggiunto Michele Prestipino e dal sostituto Barbara Sargenti, porta alla luce un sodalizio che da anni gestiva una gran massa di denaro in qualità di gestore primario delle video slot. Una maxinchiesta, partita nel 2004, che coinvolge anche Sergio e Giancarlo Tulliani, suocero e cognato dell’ex presidente della Camera, Gianfranco Fini. I due sono indagati per il reato di riciclaggio in una indagine che sembra accendere un faro ‘definitivo’ sulla vicenda della compravendita dell’appartamento a Montecarlo. Laboccetta è uno degli uomini di fiducia di Corallo, e legato alla Atlantis world group e poi alla Bplus Giocolegale Ltd, società aggiudicataria della gestione telematica dei giochi. In base a quanto accertato dagli inquirenti la cifra sottratta dal 2004 al 2014 al fisco italiano e riciclata all’estero sfiora di 200 milioni di euro.

L’appartamento di Montecarlo 

Un filone importante dell’indagine si sofferma sull’attività dei Tulliani. In particolare Giancarlo, secondo quanto ricostruito, avrebbe messo a disposizione di uno degli arrestati, Rudolf Baetsen, legato all’imprenditore Corallo, due società offshore per poter far transitare i soldi destinati alle Antille. Dal canto suo Baetsen si sarebbe mosso per finanziare l’acquisto dell’appartamento di Montecarlo che era stato di proprietà di An attraverso tre società offshore riconducibili allo stesso Tulliani. Secondo le accuse della procura, a pagare il prezzo dell’appartamento fu una società off shore di Corallo: Giancarlo Tulliani, cognato di Fini, l’avrebbe quindi ricevuta senza pagare niente. La stessa off shore di Corallo avrebbe poi rivenduto la casa per 1 milione e 360 mila euro, finiti alle società off shore di Tulliani: questi soldi, spiega l’Espresso, sarebbero poi stati depositati su altri conti esteri intestati anche a Sergio Tulliani, padre di Giancarlo. Secondo le indagini, quella della casa di Montecarlo non fu l’unica operazione con cui Tulliani, attraverso le sue off shore, avrebbe ricevuto soldi da Corallo. Su questo fronte una svolta importante è arrivata nel corso di una perquisizione svolta novembre del 2014 presso una abitazione di Corallo, in piazza di Spagna a Roma. In quella circostanza gli inquirenti misero le mani su un pc dove erano presenti file che rendicontavano movimenti finanziari delle società riconducibili al “Re delle slot”. Tra le varie voci anche una che portava a Sergio e Giancarlo Tulliani.

Il bonifico legato al decreto del 2009

Corallo avrebbe accreditato ai Tulliani, su un conto corrente estero, circa 2 milioni e 400mila euro per una consulenza che gli inquirenti giudicano fasulla. Nel pc in possesso a Corallo quel passaggio di denaro e “giustificato” con la dicitura: “liquidazione attività estere – Decreto 78/2009, 2,4 milioni di euro”. Il decreto in questione è quello approvato nel 2009 e che garantiva ai concessionari dei video slot la possibilità di accedere, tramite specifiche garanzie, ai fondi per l’acquisto e per il collegamento delle slot. Cioé il pagamento al suocero sarebbe legato al decreto del Governo Berlusconi che favorì le concessionarie delle slot machine permettendo loro il mantenimento della concessione e l’apertura del mercato delle slot più redditizie, le vlt. 

L’intervista del Fatto a Gianfranco Fini 

Su tale decreto in un’intervista su Il Fatto sono stati chiesti lumi a Gianfranco Fini, il quale ha affermato di non saperne nulla e di non essersi accorto del passaggio di ingente denaro sui conti dei suoi parenti. Ha anche sostenuto che il presidente della Camera non ha potere sui decreti del governo e ha testualmente affermato: “Sono stato un coglione, ma mai un corrotto”. Da notare che i dissensi interni al Pdl scoppiarono un anno dopo, nel 2010, quando nel corso di una drammatica direzione Fini pronunciò la famosa frase contro Berlusconi: “Che fai mi cacci”?”. Solo dopo questo episodio sui giornali riconducibili al Pdl si scatena la campagna sulla casa di Montecarlo. Fini respinse ogni accusa. Fu “avvisato” dalla Procura di Roma per appropriazione indebita e prosciolto. Oggi si scopre che la vicenda è un tassello di una manovra molto più grande e complessa di cui nessuno, fino ad oggi, sospettava l’entità.

Le reazioni a destra

Naturalmente la vicenda viene seguita con maggiore attenzione dai giornali e dai siti della destra politica. Il Giornale rivendica la primogenitura dello scoop e invoca le scuse di chi all’epoca parlò di “macchina del fango” (tra l’altro asserisce che il Secolo avrebbe oscurato la notizia, pubblicata sul sito online invece il 13 dicembre alle 13,30). Gli ex esponenti di An invocano chiarezza. Maurizio Gasparri si rivolge alla Fondazione An: “Ora che emergono verità apparse evidenti a tanti, la Fondazione AN, che gestisce il patrimonio di una vasta comunità, deve con urgenza valutare se agire in sede giudiziaria a tutela di questi beni. Le vicende Corallo e dintorni ci dimostrano come siano stati colpiti gravemente ed è quindi opportuno fare le giuste riflessioni. La Fondazione non può rimanere ferma ma deve assumere tutte le iniziative giudiziarie e legali del caso”. Francesco Storace chiede alla Fondazione An un passo per tutelare la storia della destra italiana ora che si è scoperto che la “casa di Montecarlo serviva a chi lucra sul gioco d’azzardo”. Per Storace “Fini non è indagato ma il mondo che lo circonda sì. E non possiamo accontentarci di un’intervista in cui si autodefinisce un coglione”. 

 

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