Usa: nella supersquadra di destra spunta Rudy Giuliani, “Mr tolleranza zero”

10 Nov 2016 10:43 - di Robert Perdicchi

Non solo la conquista della Casa Bianca. Il partito repubblicano, rimasto fino alla fine così diviso sul candidato indigesto ma inevitabile, a Donald Trump deve adesso un en plain che va oltre anche le più rosee aspettative. Perché il Grand Old Party è pigliatutto: le urne gli regalano il Congresso confermando il controllo di Camera e Senato, e gli mettono in mano anche le sorti della Corte Suprema. Insomma, l’inarrestabile cavalcata del tycoon inviso all’establishment ha per i prossimi quattro anni sbriciolato ogni parvenza di opposizione democratica. La strada è spianata verso provvedimenti, decisioni, virate che se si superano i litigi interni concedono ai repubblicani un’opportunità rara. Chissà quindi se basterà questo per rimarginare le ferite lasciate aperte dall’exploit di Trump. Nel giorno della vittoria le intenzioni sembrerebbero delle migliori, così lo speaker della Camera Paul Ryan – che fino alla fine si era rifiutato anche di menzionare Trump candidato limitandosi a sostenerlo “per dovere” – dopo essere stato rieletto per la nona volta e aver guardato i risultati, il presidente eletto lo ha ringraziato pubblicamente. «Abbiamo vinto in congresso molti più seggi del previsto e molto è merito di Donald Trump». Quindi i buoni propositi: «Adesso dobbiamo unire il Paese. Dobbiamo lavorare per lenire. E’ il momento della redenzione e non delle recriminazioni». Messe così le cose, per i repubblicani è sventato anche il pericolo di sbilanciamenti alla Corte Suprema: rimane infatti in ballo la sostituzione del giudice ultraconservatore Antonin Scalia mancato nei mesi scorsi e spetta adesso a Donald Trump presidente fare un nome. In campagna elettorale ne aveva citati una decina, adesso però deve scegliere e se l’alchimia funziona il processo non può che andare liscio (con la ratifica prevista al Senato) e garantire quindi una massima Corte allineata con il partito che guida il Paese. Di Trump l’outsider, il “non ideologico” e per questo premiato dalle urne, resta tuttavia difficile prevedere le scelte politiche che adesso è chiamato a fare: una su tutti la compagine di governo. Ci si chiede cosa andrà a chi, e chi metterà dove, tra le figure anche molto diverse tra loro che lo hanno appoggiato nella campagna elettorale. Le prime ipotesi tracciano tuttavia un identikit dalla connotazione inconfondibile legata a nomi noti quali l’ex speaker della Camera e storico leader del partito repubblicano Newt Gingrich e Rudy Giuliani. Il primo sarebbe in pole position per la carica di segretario di Stato nell’amministrazione Trump, mentre l’ex sindaco di New York diventerebbe “attorney general”, ministro della giustizia.

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