Trump, il New York Times non si scusa e non demorde dalla guerra al nuovo presidente

12 Nov 2016 17:13 - di Paolo Lami

A metà “mea culpa” e ammissione di impotenza, a metà dichiarazione di guerra. Nelle caselle email degli abbonati al New York Times è arrivata una lettera dell’editore Arthur Sulzberger che suona come una minaccia a Donald Trump: il tycoon di Fifth Avenue avrà anche vinto la Casa Bianca, ma il quotidiano promette che non mollerà la presa su Trump.
«Siamo convinti di aver scritto con imparzialità su entrambi i candidati durante la campagna elettorale. Potete contare su di noi per un’analoga imparzialità, esame critico e indipendenza nella copertura del nuovo presidente e della sua squadra», scrive l’editore del quotidiano che, oltre a dare l’endorsement a Hillary Clinton, aveva cercato, con un editoriale durissimo, di convincere i lettori «a non votare Trump».
Dalle prime battute si profila per il successore di Barack Obama una difficile luna di miele con la stampa: sul Washington Post l’esperta di media Margaret Sullivan, già Public Editor del New York Times, mette i colleghi sul banco degli imputati per aver aiutato la vittoria del tycoon regalandogli nelle prime fasi della campagna elettorale un accesso non filtrato alle onde dell’etere: tema di una involontaria complicità all’insegna dei rating ripreso oggi dal regista di “Big LebowskiEthan Cohen, che accusa i giornalisti di essere stati «anche troppo equilibrati» per aver messo gli scandali e le boutade di Trump sullo stesso piano delle mail della Clinton. E se Sulzberger è costretto ad ammettere nella lettera agli abbonati che nei mesi della campagna anche il suo giornale ha preso un abbaglio, convincendosi che «la totale anticonvenzionalità» di Trump «non poteva far presa» sugli elettori, Trump lascia a casa i giornalisti nel suo primo storico viaggio a Washington per incontrare il suo quasi predecessore e i leader del Congresso: primo segnale di un cambio di rotta nel protocollo dei rapporti tra la prossima Casa Bianca e i media che, dimenticando il dovere dell’imparzialità e il necessario equilibrio, hanno sposato i democratici e la famiglia Clinton salvo poi accorgersi, troppo tardi, di non essere riusciti a interpretare il sentiment del popolo americano, chiusi com’erano nei loro salotti radical chic.

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