L’urlo di Pirozzi, sindaco di Amatrice: «Sento che ci stanno abbandonando»

7 Nov 2016 14:05 - di Marzio Dalla Casta

È il giorno dei sindaci in Parlamento, non per effetto della pasticciata riforma di Matteo Renzi che, si spera, venga sonoramente bocciata dagli italiani nel referendum confermativo del prossimo 4 dicembre, ma per via della sessione “L’Italia in Comune” che si celebra nell’aula di Montecitorio. È una sessione dedicata agli amministratori che, per un giorno, trasforma la Camera dei Deputati in un’assemblea di primi cittadini. Ma per quanto vi siano quelli delle città più importanti, tutti gli occhi sono puntati sui sindaci delle città colpite dai terremoti del 24 agosto e del 31 ottobre scorsi, su tutti Sergio Pirozzi, il primo cittadino di Amatrice.

Denuncia di Pirozzi all’assemblea dei sindaci a Montecitorio

È la sua figura alta ad interrompere infatti il colpo d’occhio prodotto dalla marea di tricolori nell’aula della Camera. Pirozzi non la indossa perché – spiega commosso – «nel terremoto ha peso anche quella». Prima di intervenire è costretto a farsela prestare da un collega. E Pirozzi è lì anche per dare un significato preciso a quella fascia mancante. la sua città, Amatrice, è il simbolo del devastante sisma del 24 agosto scorso. Un primato sinistro e luttuoso che da una settimana Pirozzi condivide con il collega di Norcia, il centro sbriciolato dal terremoto del 31 ottobre. Amatrice nel Lazio, Norcia in Umbria. La prima famosa nel mondo per aver inventato l’«amatriciana», il sugo inventato dai pastori durante le transumanze; la seconda per aver dato i natali a San Benedetto, fondatore della regola ora et labora e patrono d’Europa per volontà di Papa Paolo VI. Due centri che insieme ai tanti altri devastati dal doppio sisma possono a buon titolo essere considerati come lo scrigno dell’identità più profonda della nostra comunitò nazionale.

«Rimetterò la fascia tricolore quando sarò certo che nessuna ci abbandona»

L’intervento di Pirozzi non è per nulla convenzionale o di circostanza. Anzi, è servito a far capire che ai sindaci delle zone terremotate non bastano gli impegni declamati in tv né si accontenteranno di uscire dall’emergenza. A loro preme soprattutto che i loro borghi vengano ricostruiti conservando la propria identità e la propria storia: «Tornerò ad indossare la fascia con lo stemma di Amatrice, quando avrò la certezza che nessuno ci abbandona». L’intervento nell’aula di Montecitorio è per lui l’occasione per inviare un messagio preciso a Renzi e al suo governo: «Ho la sensazione che qualcuno ci stia abbandonando, e se fosse così sarebbe grave perché noi non vogliamo essere solo un borgo da cartolina. Ma – ha aggiunto – sono sicuro che nessuno abbandonerà nessuno perché dimostreremo che non siamo bravi solo in 10 giorni ma in 365».

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