Il “dux” Di Canio fa pace con gli ebrei italiani: «Il razzismo è un’infamia»

7 Nov 2016 12:09 - di Valerio Falerni

Paolo Di Canio, calciatore-simbolo della Lazio e personaggio più volte bersaglio di polemiche per via delle sue mai nascoste simpatie mussoliniane, si è riappacificato con la comuniutà ebraica romana attraverso un comunicato chiarificatore inviato alla presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, Noemi Di Segni, che ne ha disposto la pubblicazione sul portale www.moked.itlo stesso che lo scorso settembre aveva contestato la partecipazione Di Canio come opinionista di Sky Sport a un programma di approfondimento dedicato al calcio inglese. Un calcio che Di Canio che conosce molto bene avendo chiuso proprio lì la sua carriera agonistica.

Messaggio alla presidente della Comunità ebraica Di Segni

La contestazione degli ebrei italiani fu innescata da un tatuaggio con la scritta Dux che Di Canio ha impresso in bella mostra sul braccio destro. Una presa di posizione cui era seguita la sospensione dell’ex-calciatore dal programma. Ma quel tatuaggio, per Di Canio, non ha mai significato adesione alle leggi razziali emanate nel 1938, che anzi definisce «una terribile infamia per la storia del nostro Paese che causò un’immane tragedia per migliaia di ebrei in Italia». E questa, assicura, «è la mia posizione convinta e determinata».

Di Canio fu allontanato da Sky Sport per la scritta “Dux” sul braccio

Di Canio ha anche citato un episodio che lo toccò profondamente: «Qualche anno fa – ha ricordato – ho chinato la testa di fronte al dolore di alcuni superstiti di Auschwitz che ho conosciuto nel corso di un incontro a Roma». Anche da qui la scelta, come «personaggio pubblico» di «contribuire ad una sensibilizzazione dei nostri giovani contro ogni forma di odio, di antisemitismo e di razzismo». Questi stessi «convincimenti» Di Canio ha ora voluto pubblicamente «ribadire» attraverso il messaggio  alla presidente Di Segni «perché ne sia portavoce verso tutte le Comunità, così da chiudere una pagina recente di dolore e di amarezza, anche per me».

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