Sergio Panunzio, spiegò l’essenza del fascismo e la sua aristocrazia sociale

8 Ott 2016 9:16 - di Antonio Pannullo

Sergio Panunzio, di cui ricorre oggi l’anniversario della morte, avvenuta a Roma l’8 ottobre 1944 mentre era ricercato dagli antifascisti, fu un giurista, filosofo, politologo, scrittore, giornalista nonché deputato fascista per tre legislature. Classe 1886, era nato a Molfetta, dove studiò con Pantaleo Carabellese. Quando frequentava Giurisprudenza a Napoli, divenne socialista aderendo subito al sindacalismo rivoluzionario. All’università entrò in contatto con professori come Francesco Saverio Nitti, Napoleone Colajanni, Igino Petrone e altri. Collaborava, studente, con la rivista Alternativa socialista di Arturo Labriola. Nel 1908 si laureò in Legge e nel 1911 in Filosofia. Iniziò la professione di avvocato ma poi le preferì l’insegnamento. Diede alle stampe nel 1912 la sua prima opera importante, Il Diritto e l’Autorità. Poco prima dell’entrata dell’Italia nella Grande Guerra entrò in amicizia con Italo Balbo che a sua volta gli fece conoscere Benito Mussolini, a quell’epoca al giornale socialista l’Avanti!. I due entrarono subito in sintonia e iniziò un sodalizio che non si sarebbe mai più interrotto. Panunzio collaborò lungamente con L’Utopia, periodico fondato da Mussolini e teso all‘interventismo. Quando la guerra scoppiò, per coerenza, Panunzio si arruolò volontario, come d’altronde Filippo Corridoni e Benito Mussolini, ma fu presto congedato perché ammalato di emofilia. Continuò però la battaglia dalle colonne del Popolo d’Italia, con articoli concordati con lo stesso Mussolini. Nel 1916 fu tra i fondatori del Fascio nazionale di Ferrara e fondatore del giornale Il Fascio. Nel 1919 poi scrisse un articolo sulle classi produttive e sulla loro esigenza di organizzarsi, proponendo addirittura l’istituzione di un parlamento rappresentante delle categorie tecniche ed economiche da affiancare al parlamento politico. Era l’idea del corporativismo, argomento che poi nel discorso a piazza San Sepolcro Mussolini riprese. In questo periodo Panunzio elaborò sempre più precisamente le proprie tesi, scrivendo articoli di argomento politico, filosofico, sindacale. Poco prima della Marcia su Roma scrisse a Mussolini ritenendo che non fosse ormai più possibile una convergenza con i socialisti e che la rivoluzione dovesse avere uno sbocco statalista, riportando l’autorità dello Stato al centro della vita politica italiana.

Panunzio e la “conservazione rivoluzionaria”

Dopo la presa del potere, Balbo gli consegnò la tessera del Partito nazionale fascista e nel 1924 Panunzio fu eletto per la prima volta deputato del Regno. Sarà rieletto per altre due legislature. Fu chiamato da Costanzo Ciano a fare il sottosegretario del nuovissimo ministero delle Comunicazioni, che prima non esisteva. Panunzio in questi anni proseguì i suoi studi sulla natura e sull’essenza autentica del fascismo, coniando la felice definizione di “conservazione rivoluzionaria”. Partecipò al dibattito sulla rivoluzione fascista e sullo Stato nuovo, mettendo poi su carta le sue riflessioni col volume Lo Stato fascista, del 1925. L’anno successivo si trasferì a Perugia come docente nella locale università, di cui fu anche Rettore, e Mussolini gli diede l’incarico di organizzare la neonata facoltà di Scienze politiche affinché diventasse, disse il Duce, la Oxford italiana. Panunzio chiamò a insegnare a Perugia docenti importantissimi, come Roberto Michels, Paolo Orano, Angelo Oliviero Olivetti, Francesco Coppola e latri professori di rilievo. Panunzio, malgrado gli onerosi impegni accademici, sistemò il suo pensiero nelle sue numerose opere, definendo lo Stato fascista come sindacale e corporativo contrapposto a quello liberista, indifferente e individualista. Lo Stato fascista, inoltre, per Panunzio è uno Stato rivoluzionario. Dopo l’istituzione della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, Panunzio nel 1939 dette alle stampe la Teoria generale dello Stato fascista, opera alla quale già lavorava da anni. Nel 1937, poi, partecipò in maniera significativa alla grande riforma del Codice di Procedura civile e del Codice civile, mettendo la Carta del Lavoro alla base di tale codice. Nel 1944 fu sottoposto a processo di epurazione e fu costretto a nascondersi a casa del suo antico allievo Mortati che aveva un’abitazione in piazza Verdi a Roma. Morì l’8 ottobre dello stesso anno. Ci ha lasciato decine e decine di opere e sulla sua concezione di Stato sono stati scritti articoli e libri. Oggi l’archivio di Sergio Panunzio è disponibile presso la Fondazione Ugo Spirito a Roma.

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