Sala dice no a “Via Almirante”, il peso della storia e il dovere della verità

31 Ott 2016 12:27 - di Mario Bozzi Sentieri

La richiesta, fatta da Fratelli d’Italia, di intitolare una strada di Milano a Giorgio Almirante, in occasione del settantesimo anniversario della nascita del Msi, non può essere archiviata con una battuta, come quella fatta, a  margine della seduta del Consiglio metropolitano,  dal Sindaco Beppe Sala. «Io personalmente, nel rispetto dei ruoli, non sono a favore – ha dichiarato Sala – per due motivi: non c’è stato un grande legame tra Almirante e la nostra città. Secondo, Almirante è stato un politico anche capace, però la sua storia e il suo ruolo da politico nella Repubblica di Salò c’è stato e non so se sono momenti in cui l’oblio sia già ammissibile».

Una strada per Almirante, una battaglia giusta

Al di là delle “semplificazioni” di Sala, in gioco ci sono questioni che vanno evidentemente ben oltre la figura dello storico leader del Movimento sociale italiano. Toccano le ragioni della nostra identità collettiva. Invitano alla discussione sul senso della nostra Storia. E che perciò vanno approfondite. Sgombriamo subito  il capo dalle “giustificazioni”… toponomastiche.  In una città che ha vie intitolate a Carlo Marx, Palmiro  Togliatti e Leningrado, l’appello ai legami meneghini risulta francamente fuori luogo. Più complessa ed oggettivamente più seria la questione relativa al passato saloino di Almirante.

L’adesione  alla Repubblica Sociale fu un fenomeno di massa rispetto al quale il nostro Paese non ha fatto ancora i conti, archiviandolo nel dimenticatoio. Meglio tacere di certe scelte “giovanili”, che coinvolsero centinaia di migliaia di giovani, salvo poi scoprire – anno dopo anno – che molta della futura classe dirigente nazionale da lì passò, per poi disperdersi, dal 1945 in poi, nei mille rivoli delle identità e delle appartenenze politiche. I più preferirono archiviare quel passato. Altri lo rivendicarono, senza “rinnegare”, ma neppure senza volere “restaurare”. Tra i primi ed i secondi, al di là della dignità personale, le differenze di fondo non appaiono evidenti. Il giudizio va perciò  dato rispetto a  quello che essi realizzarono in seguito. Vale – ad esempio –  da una parte per Giorgio Albertazzi, combattente di Salò non pentito, e dall’altra  per Dario Fo, il quale invece, per anni, cercò di tenere ben nascosta la sua adesione giovanile alla Rsi. Così per Almirante, che fu protagonista della vita politica nel dopoguerra, nel solco di un’esperienza della quale  – come egli scrisse –  si fece carico “ereditando in blocco le responsabilità, come è dovere degli uomini seri e coraggiosi, ma sceverando le esperienze e traendone tutti gli ammaestramenti che ne derivano”. Anche rispetto al sistema democratico, che il Msi accettò sempre come “metodo”, contestandone però la “dottrina” e le degenerazioni partitocratiche, argomento, quest’ultimo, oggi largamente maggioritario.

La discussione  su “via Almirante” a Milano  va allora tenuta bene aperta  e ci auguriamo che animi positivamente il dibattito non solo nel  Consiglio comunale di Milano.  Al di là delle polemiche contingenti gli argomenti per farne una grande battaglia di verità ci sono tutti. In gioco c’è la possibilità di avviare finalmente un percorso di pacificazione nazionale, da troppi anni disatteso, e di autentica comprensione dell’esperienza missina.

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