Gino Agnese: quanti giovani nel Msi degli anni ’50, tutti per Trieste italiana

12 Ott 2016 15:53 - di Redattore 54

“Mi sono iscritto al Msi nel 1951, come tanti altri studenti in quella fase e in tutte le scuole, volevamo andare alle manifestazioni tricolore per Trieste italiana, quella battaglia per il Msi fu una vendemmia…”. Gino Agnese, classe 1936, saggista ed ex giornalista del Tempo, comincia da quei cortei la sua rievocazione da testimone della storia della Fiamma. “Scoprii un universo insospettato, entusiasmante. Un’avventura, nella quale  non è che arrivavi per caso. Per iscriverti qualcuno ti doveva presentare, all’epoca funzionava così. Io per esempio portai in sezione Antonio Mazzone“.

Si iscrisse al Msi a Napoli. Che clima c’era in sezione?

La sezione era quella di Montecalvario “Bir El Gobi”, nel centro di Napoli. Il segretario giovanile era Alfredo De Mario. Io avevo 15 anni e fui anche arrestato durante una delle manifestazioni per Trieste taliana. A casa mia non sapevano nulla. Mi portarono in questura e tutto sommato ci trattarono bene, per non farci saltare il pranzo ci diedero pane e mortadella. Ancora mi ricordo la bontà di quel panino… Poi si cantava, moltissimo, e quei canti erano unificanti e importanti. Erano canzoni del periodo della Rsi ma noi non eravamo squadristi, andavamo in giro con lo stampino della fiamma e Napoli, che è la città più tollerante del mondo, ci accettava, non ci rifiutava.

Qual era il rapporto dei giovani con i vertici del partito in quegli anni? 

De Marsanich ci appariva come un personaggio ieratico, figura indiscussa, sempre serio, sempre vestito di scuro. Durante la segreteria Michelini c’era grande dibattito e grande fermento di idee. Io seguivo Silvio Vitale ed Enzo Erra, poi c’era Clemente Bucciero, che faceva parte della sinistra missina, come Catello Cosenza, e ancora c’era Gabriele Fergola, ma il suo tradizionalismo mi sembrava poco persuasivo. Fiorivano le riviste: Imperium faceva capo a Erra, quelli della siniustra facevano invece un giornale che si chiamava Continuità. Loro seguivano Gentile, noi avevamo Evola come pensatore di riferimento. Questa suggestione di restare in piedi tra le rovine era molto affascinante per un ragazzo.

Quando arriva al giornalismo?

Nel 1960 fui chiamato alla redazione di Roma del Secolo (io ero già alla redazione di Napoli) e i direttori erano tre: Franz Turchi, Filippo Anfuso e Giorgio Almirante. Lì trovai Mario Caccavale e Ottorino Gurgo, il caporedattore era Cesco Baghino. Mi occupavo di cronaca italiana. Ebbi all’epoca un incontro con Almirante, mi lamentai con lui delle troppe spese che dovevo sostenere per mantenermi a Roma e lui mi rimproverò perché non studiavo all’università per laurearmi ma pensavo solo al mestiere di giornalista. All’epoca ne fui contrariato, oggi invece riconosco che aveva ragione. Comunque per aiutarmi mi mandò a dare una mano alla redazione del Meridiano d’Italia, dove seguivo l’impaginazione con Ugo Franzolin. Il Secolo fu per me una grande scuola, lì appresi la passione per la grafica. Poi, nel 1964, entrai al Tempo.

Come giudica la successiva evoluzione del Msi?

Io non ero più un attivista, ma un giornalista. Certo il Msi l’ho sempre seguito, fino allo scioglimento in Alleanza nazionale. E dopo ho seguito An fino allo scioglimento nel Pdl. Un grande errore, che a Fini è costato la carriera. In occasione del congresso di Sorrento scrissi un articolo che si intitolava “Colpo d’ala” in cui sostenevo le ragioni della segreteria di Fini, un giovane che poteva rappresentare una svolta. Mi ricordo che Giuseppe Tatarella, durante il dibattito congressuale, citò appunto questo articolo.

Da giornalista controcorrente ha avuto modo di sperimentare l’emarginazione culturale che la sinistra praticava ai danni di chi non era allineato?

Un po’ ti tenevano ai margini, ma un po’ noi si voleva stare ai margini, scegliendo l’adesione a una cultura di tipo reazionario che non ha aderenza con la realtà. Il dialogo si può avere se siamo tutti sullo stesso piano, ma se tu rivendichi con orgoglio una cultura minoritaria su quel piano non ci vuoi stare. E il dialogo diventa difficile. Eravamo ai margini, ma non perseguitati.

Lei ha detto che negli anni Cinquanta moltissimi studenti sceglievano la piazza tricolore. Che accadde invece negli anni Settanta? Cosa fa scattare la demonizzazione del Msi e dei missini?

Quando il Msi arriva all’8 per cento nel 1972 la Dc si preoccupa: teme un’emorragia di voti, teme Almirante che dava la caccia ai consensi moderati. E così corre ai ripari, comincia la demonizzazione. Il cavallo elettore fu frustato da destra e da sinistra affinché corresse al centro.

Secondo lei il progetto di Almirante della Costituente di destra trova realizzazione anni dopo nella politica vincente di Berlusconi?

Berlusconi è unico, aveva una marcia in più. Lui era il solo a saper utilizzare la tv, ad avere i sondaggi. Almirante, come del resto anche i leader della sinistra, faceva politica in modo tradizionale, cioè puntava a indottrinare le folle, Berlusconi invece  non vuole indottrinare la gente, la vuole compiacere. Loro dicono: vogliamo le mele. E lui risponde: avrete le mele. Una volta dissi ad Occhetto: ma perché non fate una vostra tv? E lui mi disse che i compagni non avrebbero capito. Erano secoli indietro rispetto a Berlusconi. Non vedo similitudini con il progetto di Almirante, anche perché Berlusconi non era interessato alla costituente di destra, quello che ha fondato era un partito leaderistico. Berlusconi non è la destra, Berlusconi è Berlusconi. Io nel ’94 ero candidato al Senato e durante un comizio mi si avvicinò Mazzone: ‘Gigì, ma tu hai capito che stavolta andiamo al governo?’. Io non ci credevo. E lui: ‘Berlusconi lo ha detto a Fini, tiene i sondaggi’.  Berlusconi lo sapeva, perché era in grado di misurare le intenzioni dell’elettorato.

Un Msi diverso da quello che è stato realizzato da Giorgio Almirante era possibile?

No. E comunque Almirante non ha fatto tutto da solo. Almirante aveva capito le note sentimentali, le corde profonde dell’elettorato della Fiamma. Altri discorsi non sarebbero stati capiti, non sarebbero stati seguiti. E non solo per il confronto destra-sinistra. Ma perché se ti discostavi dalle linee guida della retorica del fascismo subito venivi sospettato di tradimento. La destra è “inventata” negli anni Settanta, prima c’erano i liberali o i monarchici o i moderati della Dc.

E la destra di oggi per essere nazionale come quella che voleva Almirante che dovrebbe fare?

Che cosa vuol dire oggi essere nazionalisti? Il nazionalismo sono le nostre colline, le nostre coste, le nostre città, le nostre bellezze. Qua si fonda il nazionalismo, se no che fai, fai di nuovo la guerra di Libia?

 

 

 

 

Commenti

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  • Bruno Tomasich 22 Marzo 2018

    Fra i tanti nomi ricordati da Agnese voglio ricordare Gianni Brandi, Ciccio Faticam, Corrado Ferlaino e i fratelli Tomasich che quei cortei per Trieste guidavano e Bruno Tomasich, il segretario provinciaòe giovanile concludeva parlando dal monumento ai caduti di piazza dei Martiri.