La Cassazione: il certificato del medico fiscale non giustifica l’assenza

3 Ott 2016 18:30 - di Giovanni Trotta

L’assenza dal lavoro per malattia deve sempre essere certificata dal medico di una struttura sanitaria pubblica, o dal medico di famiglia: il certificato che attesta la temporanea inabilità al lavoro redatto dal medico fiscale durante la visita a domicilio non “giustifica”, infatti, l’assenza del lavoratore e dunque può scattare il licenziamento per assenza ingiustificata. Lo sottolinea la Cassazione che tuttavia aggiunge che in casi del genere, nei quali il datore licenzia chi si serve del medico fiscale anzichè inviare il certificato del medico convenzionato, il giudice dovrà valutare se una sanzione del genere sia troppo severa specie se la malattia era “vera” e se la visita fiscale è intervenuta poco tempo dopo la telefonata con la quale il dipendente comunicava di stare male e di rimanersene a casa. A fronte del ricorrere di di queste circostanze, la Suprema Corte – sentenza 18858 – ha accolto il ricorso di una istruttrice della polizia municipale del comune di Sala Bolognese e dell’Unione Terre d’Acqua contro il licenziamento con preavviso inflittole «per la mancata valida giustificazione relativamente all’assenza per sette giorni di malattia» totalizzati in tre momenti diversi tra giugno e luglio del 2012. Il licenziamento era stato convalidato in primo grado dal Tribunale e poi anche dalla corte di Appello di Bologna. Nel reclamo in Cassazione, la difesa della vigilessa ha sostenuto che la malattia era stata accertata dal medico fiscale che siccome fa parte di una struttura pubblica è in grado di certificare l’esistenza della patologia inabilitante al lavoro. L’obiezione è stata ritenuta «non fondata».

Per la Cassazione non basta la telefonata al datore di lavoro

«Nell’ipotesi di assenza per malattia protratta per un periodo superiore a dieci giorni e, in ogni caso, dopo il secondo evento di malattia nell’anno solare l’assenza viene giustificata esclusivamente mediante certificazione medica rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale», ricorda il verdetto. «Dunque, il legislatore ha inteso porre a carico del lavoratore l’obbligo di attivarsi nei suddetti sensi, altrimenti – avverte l’Alta Corte – è prevista la sanzione disciplinare senza preavviso in presenza di assenza priva di valida giustificazione per un numero di giorni, anche non continuativi, superiore a tre nell’arco di un biennio o comunque per più di sette giorni nel corso degli ultimi dieci anni, o mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il termine fissato dall’amministrazione». Quindi, «non è sufficiente che il lavoratore informi il datore di lavoro dell’assenza per malattia, come avvenuto in questo caso, ma il lavoratore deve attivare, rivolgendosi per l’accertamento del proprio stato di salute/malattia a una struttura sanitaria pubblica o a un medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale, il procedimento che si conclude con l’inoltro (e la ricezione) della certificazione medica al datore di lavoro da parte dell’Inps». Insomma, «la visita fiscale – spiega il verdetto – non è alternativa alla certificazione rilasciata dalla struttura sanitaria pubblica o dal medico del Ssn, a cui deve rivolgersi il lavoratore». Adesso però, la Corte di Appello di Bologna – chiarito che il licenziamento era legittimo – deva valutare se sia proporzionato «alla luce delle circostanze concrete» (malattia sussistente e visita in breve arco di tempo).

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