Strage di Bologna, l’altra verità nel libro di Priore. La pista nera non c’entra

30 Set 2016 15:02 - di Gloria Sabatini

“Poi quel botto/alla stazione/ che cancella tutto quanto”, cantava Francesco Mancinelli in Generazione ’78, un pezzo cult della Musica alternativa degli anni ’80. «Non so perché nella mia carriera ho avuto sempre casi di strage», scherza Rosario Priore, magistrato di lungo corso che ha indagato per anni su alcuni grandi misteri della storia del dopoguerra: da Ustica all’assassinio di Aldo Moro, dalla strage di Bologna alla strage di Peteano. Giudice testardo in pensione, Priore sfida le minacce di querela del presidente dell’associazione famigliari delle vittime della strage di Bologna, il democratico Paolo Bolognesi, e dà alla luce un libro scomodo che svela intrecci internazionali, svela la pista mediorientale e riconduce la strage ai terroristi tedeschi vicino al gruppo di Carlos, “lo sciacallo”, manovrati da Abu Anzeh Saleh (Abu Ayad ), esponente di spicco dell’Olp.

Bologna, l’altra verità di Priore sulla strage

La sala è piena a Roma per la presentazione del libro I segreti di Bologna, scritto a quattro mani da Priore con Valerio Cutonilli, avvocato impegnato a chiarire i misteri della strage  che provocò 85 morti. Un saggio, a metà tra il giallo e il romanzo storico, che fin dalla pubblicazione ha suscitato polemiche ma anche un successo che conferma il desiderio, oltre i confini della destra, di scavare nelle pieghe del più grave atto terroristico avvenuto in Italia nel secondo dopoguerra. Tra il pubblico tanti intellettuali non conformisti, ragazzi nati dopo la strage, sessantenni appartenenti a quella generazione di destra che pagò un prezzo altissimo per la pista nera, che fece precipitare nuovamente nelle fogne un ambiente che si stava affrancando dalle etichette stereotipate (fascista = stragista) e rigenerando dopo le persecuzioni degli anni Settanta.

La pista palestinese e Carlos

Carte alla mano, il volume  (edizioni Chiarelettere, 274 pagine) contesta la “verità” processuale e la condanna definitiva nel 1995 di Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, che si sono sempre proclamati innocenti ed estranei alla strage (nel 2007 fu condannato anche Luigi Ciavardini, che nel 1980 era minorenne). L’esplosione alla stazione di Bologna non sarebbe stata una ritorsione dei terroristi neri, ma sarebbe legata alla fine del lodo Moro, stipulato nella prima metà degli anni Settanta tra i servizi segreti italiane e alcune frange delle organizzazioni armate palestinesi, per evitare attentati in Italia. Un patto non scritto violato nel novembre 1979 «con l’arresto, a Bologna, di Abu Anzeh Saleh, esponente dell’Fplp (Fronte popolare per la liberazione della Palestina) coinvolto nel traffico dei missili terra-aria coperto dai carabinieri. La scena iniziale del libro ritrae un metronotte che nota una Fiat 500 targata Roma, poi affiancata da una Peugeot, facendo scoprire l’esistenza di missili terra-aria di fabbricazione sovietica trasportati da tre estremisti italiani, legati all’Autonomia Operaia,  per conto dei terroristi palestinesi. Nella rubrica telefonica di Abu Anzeh Saleh c’è anche il numero di telefono del colonnello Stefano Giovannone, capo del Sismi a Beirut, noto alle cronache per aver tentato una mediazione coni i brigasti durante i mesi del sequestro di Aldo Moro. Un’altra “coincidenza” è  la presenza a Bologna, la sera prima della strage, di un terrorista tedesco, esperto di esplosivi, Thomas Kram,  legato a Carlos, la cui identità fu scoperta dal giornalista Gian Paolo Pelizzaro, collaboratore della commissione Mitrokhin.

Il terrorismo mediorientale

Non doveva essere era la stazione di Bologna l’obiettivo scelto da chi trasportava quell’ordigno, scoppiato prima del previsto,  soprattutto se si guarda al contesto politico italiano e internazionale. Oltre al ruolo centrale del lodo Moro, il libro ricompone i tasselli della natura ambigua dei nostri 007 e della svolta atlantista del picconatore Cossiga, sullo sfondo della guerra segreta consumata nel Mediterraneo e di quello che Priore chiama terrorismo mediorientale del quale era vietato parlare («il governo dell’epoca si preoccupava di indicare ai terroristi dove potevano andare a curarsi»). Oltre ai due autori, a illustrare il libro anche lo scrittore Nicola De Palo, cugino della giornalista Graziella De Palo, scomparsa a Beirut nel 1980 assieme al collega Italo Toni. Due giornalisti partiti per il Libano poco dopo la strage di Bologna, abbandonati all’oblio collettivo anche dopo la caduta del segreto di Stato sui documenti del Sismi: lei una cronista acerba, racconta il cugino, lui un esperto inviato di guerra, che “probabilmente” scoprono dettagli sulla pista libanese che non dovevano essere raccontati. «Non è mai troppo tardi per raccontare la verità», dice Cutonilli replicando a Paolo Bolognesi, strenuo difensore della ricostruzione giudiziaria di quel tragico 2 agosto 1980 che porta a Mambro e Fioravanti.

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