Parolisi cacciato dall’Esercito: addio status militare, va in un carcere civile

8 Set 2016 13:11 - di Martino Della Costa

La giustizia civile e quella militare hanno fatto il loro corso: dopo la condanna a 20 anni, per Salvatore Parolisi è arrivata anche la decisione della Direzione generale per il personale militare che ha decretato per l’ex caporal maggiore, giudicato l’assasino della moglie Melania Rea, la perdita dello status militare. E allora, più precisamente, in un dettagliato servizio de il Giornale leggiamo: «Gentile signor Rea – scrive il generale Rosso e riporta il quotidiano milanese – Le comunico che in data 16 giugno 2016 la Direzione generale per il personale militare ha decretato la perdita di status militare di Salvatore Parolisi, nonché la cessazione del rapporto di impiego con l’Amministrazione della Difesa a far data dal 13 luglio 2016». Ne consegure, quindi, che il detenuto sarà trasferito presso un istituto di pena civile una volta arrivato il via dalla competente Procura Generale di Perugia, come recita il provvedimento appena citato, «già in tal senso formalmente interessata da codesto ministero».

Parolisi cacciato dall’esercito: sarà trasferito in un carcere civile

Ma facciamo un passo indietro: in una lettera pubblicata tempo addietro dal settimanale Giallo e firmata dal papà della povera vittima, Gennaro Rea, l’uomo si chiedeva: il detenuto «ha ucciso la moglie davanti alla loro figlia, si è macchiato di un delitto orribile e non si è mai assunto le sue responsabilità, ma può restare un soldato? Può godere dei privilegi concessi a chi appartiene all’Esercito, come scontare la pena in un carcere militare a cinque stelle»?. La risposta è arrivata in queste ore, quando si è diffusa la notizia che, da qualche settimana, per il Ministero della Difesa Parolisi non è più un militare, tanto che entro fine mese dovrà essere trasferito in un carcere ordinario, perdendo i benefici fin qui goduti, garantiti dal fatto di far parte dell’Esercito.

L’omicidio di Melania Rea in quel giorno d’aprile del 2011

Dunque, a quella domanda retorica che trasuda amore e rabbia, postulata sul periodico – ma chissà quante altre volte frullata nelle mente dei cari della vittima e di tanti che hanno seguito il tragico caso dell’omicidio della giovane di Somma Vesuviana – Gennaro Rea ha avuto risposta. E giustizia. Anche se nessun provvedimento, nessuana messa al bando, nessun ulteriore sentenza o condannal, potranno restituirigli Melania, figlia rispettosa, mamma affettuosa e moglie devota, brutalmente uccisa nel bosco di Ripe di Civitella – il 18 aprile del 2011 – con 36 coltellate, inferte dal marito: da chi, in teoria, avrebbe dovuto volerle bene e proteggerla da ogni insidia.

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