L’analisi – Giornali e tv a lutto per le (legittime) vittorie delle destre

20 Set 2016 14:20 - di Antonio Pannullo

Ci risiamo. Ogni volta che le elezioni – europee o mondiali – non vanno per un certo verso, i mass media politicamente corretti dipingono i vincitori “scomodi” in modo tutt’altro che obiettivo. Anche stavolta è accaduto lo stesso, con la vittoria del partito di Vladimir Putin in Russia o quella di Alternative fur Deutschland in Germania. Per non parlare poi delle sistematiche messe in guardia allarmate e allarmiste contro l’irreparabile disastro che rappresenterebbe una vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti, o la catastrofe che sarebbe dovuto succedere in tutta Europa dopo la vittoria della Brexit. Catastrofe, peraltro, che dobbiamo ancora verificare. O quelle relative alle numerose vittorie del Front National in Francia.

Forse quello della Russia è il caso più eclatante di cattiva informazione e pessimo giornalismo: abbiamo visto commentatori – anche su canali nazionali – quasi con le lacrime agli occhi prima e dopo la vittoria di Russia Unita, che è stata attribuita ovviamente al “controllo totale sulla stampa” da parte del Cremlino, e mettendo in evidenza a corredo di ogni risultato del voto il fatto che l’affluenza sia calata, la disaffezione alle urne, e così via, tentando di delegittimare sistematicamente la vittoria di un leader – Putin – che gode da sempre di cattiva stampa. Dov’è la scarsa professionalità dei colleghi nel riferire questa notizia? Ad esempio, nel fatto che nel 2012, in occasione della seconda rielezione di Barack Obama alla Casa Bianca, non abbiano messo in evidenza con lo stesso zelo il fatto che Obama fosse stato eletto dal 47 per cento degli aventi diritto al voto, ossia meno di quelli che hanno votato oggi Putin, e non abbiano neanche rilevato la “disaffezione” verso quel voto, dato che Obama perse oltre nove milioni di voti. Nonostante il fatto che le minoranze nere e ispaniche avessero incrementato la presenza al voto. Poi, se disaffezione c’è, vale erga omnes: gli Usa sono un dei Paesi dove da sempre l’affluenza alle urne è bassa, e nessuno si è mai sognato di mettere in discussione la legittimità del responso delle urne. Sul controllo della stampa, invece, c’è una parziale verità di fondo: le classifiche sulla libertà di stampa internazionale, redatte principalmente da Freedom House e Reporter sans frontieres, relegano sempre la Russia tra i Paesi dove la libertà di stampa non è libera, ma si tratta di classifiche dove l’Italia è data parzialmente libera e comunque agli ultimi posti nell’Unione europea. Il mondo, secondo tali classificazioni è diviso in tre, con percentuali sostanzialmente simili, tra nazioni che hanno una stampa libera, quelle che la hanno parzialmente libera, e quelle che la hanno non libera. L’Italia è dietro Paesi come il Suriname, la Costa Rica, Papua Nuova Guinea e, in Europa, la Polonia e i Paesi Baltici, ed esattamente a pari merito col Ghana, che negli scorsi decenni subì diversi tentativi di colpi di Stato… Il discorso sul come siano fatte queste classificazioni ci porterebbe troppo lontano, così come quello relativo al controllo dei mass media laddove essi sono considerati liberi.

I media internazionali e nazionali usano due pesi e due misure

La evidente cattiva fede dei mass media si evidenzia nei termini – abusati – con i quali si definiscono i partiti e movimenti non di centro sinistra: “populisti”, “euroscettici”, “anti-migranti”, “xenofobi”, “nazionalisti”, “ultraconservatori” e via di questo passo, termini che sono la summa di tutti i mali di una forza politica che una persona sinceramente democratica non dovrebbe mai votare. Termini spesso attribuiti in maniera del tutto gratuita: il populismo, che può essere sia socialista sia conservatore, non è che l’esaltazione di istanze popolari particolarmente avvertite in un dato momento storico, e l’accezione negativa la utilizzano soltanto i mass media; chiedere una gestione responsabile e di buon senso dei flussi immigratori non vuol dire certo essere “xenofobi” e “anti-migranti”; lo stesso dicasi per chi vorrebbe che l’Europa funzionasse meglio o per chi ritenga che la Ue crei più svantaggi che vantaggi al proprio Paese, come ha fatto il democratico e civile popolo britannico. Termini gratuiti, diffamatori, sprezzanti verso coloro che liberamente scelgono di votare un partito che va controcorrente ma che soprattutto va contro un certo pensiero omogeneo politicamente corretto di certe istituzioni e poteri forti che – quelli veramente – controllano e indirizzano i mass media.

Lo si è visto con Alternative fur Deutschland, il partito che in pochi mesi ha conseguito ragguardevoli risultati nelle varie elezioni nei Laender tedeschi, ultimo quello di Berlino, città tradizionalmente orientata a sinistra, dove ha superato il 14 per cento. Per AfD si è evocato, a sproposito e in cattiva fede, addirittura il nazismo, dimenticando che la Germania ha degli anticorpi fortissimi su questo, e che i tedeschi di oggi non voterebbero mai e poi mai un partito semplicemente sospettato lontanamente di avere qualcosa in comune con esso. AfD in realtà, che ha sette eurodeputati, è un partito giovanissimo, liberista, conservatore, euroscettico. E allora? Di quale lesa maestà si parla, di quale sacrilegio si è reso responsabile? Si batte per una seria regolamentazione dei flussi dei clandestini e per un’uscita della Germania dalla zona Euro, oltre a tutta una serie di questioni di coscienza come l’aborto e il matrimonio omosessuale. Ma deve essere messo fuorilegge per questo o essere trattato nei talk show come un “rischio”, un”pericolo” per la democrazia e la libertà? A qualcuno può sembrare paradossale, ma sono proprio movimenti di questo orientamento che amano più degli altri la libertà: di eccepire, di contestare, di mettere in dubbio, di proporre soluzioni diverse ai problemi.

Concludiamo questa analisi sui mass media e i partiti di destra con il caso di Donald Trump, definito dai nostri colleghi di tutto il mondo come un autentico “diavolo”, un “mostro”, un “fascista”, un “estremista”. Probabilmente mai nessun candidato alla Casa Bianca è stato trattato così dalla stampa internazionale: da parte di Trump ci sono state intemperanze verbali certo, frasi aggressive certo, toni sopra le righe certo; ma non più gravi di quando la sua rivale Hillary Clinton lo definisce “pericoloso per la libertà” o quando il presidente di tutti gli americani Obama ricatta moralmente i neri invitandoli pubblicamente a votare per la Clinton, dicendo che “chi non vota per la Clinton, mi insulta?”. E non è il primo intervento a gamba tesa del capo della Casa Bianca in una libera campagna elettorale. In definitiva, forse è ora di cambiare modo non tanto di fare politica quanto di “leggere” la politica in chiave manichea e assoluta: i buoni tutti da una parte, i cattivi tutti dall’altra. Perché non è così. E non è un male solo italiano.

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