Definisce l’ex marito puttaniere. La Cassazione assolve la moglie tradita

8 Set 2016 17:51 - di Redazione

Ha vinto in Cassazione la tesi difensiva di una moglie tradita che ha sostenuto – per chiedere l’annullamento della condanna per diffamazione – che rientrava nel suo “diritto di critica” verso il marito definirlo “un puttaniere” dopo aver scoperto che l’uomo conviveva more-uxorio con un’altra donna mentre era sposato con lei. La donna, Silvia C., per aver usato questo termine parlando del marito con suo figlio e la fidanzatina che lo avevano riferito al diretto interessato, era stata multata dal giudice di pace di Teramo, con sentenza confermata dal Tribunale il 4 aprile 2015, e condannata anche a risarcire i danni morali alla “vittima”, Attilio G., che si era risentito. Invece, secondo la Suprema Corte, questo termine non deve essere considerato solo come una offesa in quanto è “passibile di un uso funzionale”. In pratica, come ha sostenuto Silvia C., anche per la Cassazione questa parola può essere l’espressione “adatta” per far capire di che cosa stiamo parlando in certi casi. Ai supremi giudici la signora ha fatto presente non solo che a giugno, nella causa di appello della separazione, era stato confermato l’addebito al marito, ma anche che “il suo commento era giustificato dalla violazione delle regole sulle quali si regge la convivenza coniugale, e dalla necessità, per la madre, di spiegare al figlio, che aveva assunto un atteggiamento ad essa contrario, le proprie ragioni in merito alla separazione”. Ad avviso degli ermellin’ queste obiezioni “sono fondate”.

“Dare del puttaniere? Libera manifestazione del pensiero”

 

Perché, spiega l’Alta corte nel verdetto 37397, se non c’è dubbio che “l’attribuzione del connotato di puttaniere al proprio coniuge, per quanto di fatto separato e impegnato in una relazione extra-coniugale, possa valere oggettivamente a lederne la reputazione e dunque la considerazione sociale”, rientra tuttavia nella lecita e “libera manifestazione del pensiero” anche l’uso di “toni e frasi aspri e taglienti”, specie in situazioni di “disputa e contrapposizione”. Pertanto il giudice di merito ha sbagliato a ritenere che “puttaniere” sia un termine sempre “privo di continenza”. Considerando inoltre che, rileva ancora la Cassazione, sull’argomento “vi è più di una comune accezione”. Quella “derivante dalla letteralità, di persona dedita alla frequentazione di meretrici”, termine capace “di “bollare” e offendere il destinatario quando non sia ironica”, e quella – prosegue il verdetto – “non ineludibilmente incontinente di donnaiolo, playboy o uomo alla perenne ricerca di avventure amorose frivole e passeggere”. Così la condanna di Silvia C. è stata annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Teramo che dovrà rivedere la sua decisione.

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