“Così noi difendiamo l’Ungheria e l’Europa dall’invasione islamica”

16 Set 2016 8:32 - di Redazione
Orban e Barroso
 Sajad Azadi, farmacista di Kabul, ha due cose in testa: sua moglie e le onde strette di filo spinato di fronte a lui. «L’Europa qui è cosi vicina. E così lontana», dice contemplando il muro di Orban mentre si lava i denti all’unico rubinetto del campo irregolare di Horgos, un ammasso di teli di plastica sorretti da rami e tetti di foglie vicino alla zona di nessuno, la «zona di transito» al confine tra Serbia e Ungheria, si legge su “la Stampa“.

Ungheria: è muro contro l’invasione

Qui vivono 130 persone, per lo più afghani. Nulla rispetto alle migliaia ammassate prima della costruzione del muro. Aspettano di percorrere i 5 metri che li separano dall’Ungheria. Oggi la barriera di filo spinato viene usata per stendere i panni e appendere gli avvisi di ricerca delle persone scomparse lungo il viaggio. Ma nessuno osa avvicinarsi troppo. «Dopo la denuncia delle violenze della polizia da parte di Human Rights Watch – dice Vladimir, volontario della Croce Rossa – la caccia al migrante sembra essersi calmata, ma non si sa mai. Forse è solo perché il referendum si avvicina e i politici cercano di “ripulirsi” agli occhi dell’opinione pubblica».

Referendum sulla ricollocazione obbligatoria

Il prossimo due ottobre 8 milioni di ungheresi saranno chiamati a rispondere a una domanda sul piano europeo di ridistribuzione dei profughi nei Paesi Ue. Il quesito del referendum è stato definito da più parti «ostentatamente xenofobo»: «Volete che la Ue decreti una ricollocazione obbligatoria dei cittadini non ungheresi in Ungheria senza l’approvazione del governo ungherese?». Sajad appoggia la foto della moglie sul bordo del lavatoio. Lei è rimasta a Kabul: «Voi europei dite che non ci volete perché veniamo qui per i vostri soldi, che siamo migranti economici. Contate gli anni della guerra in Siria, sono 5. Noi siamo in guerra con i taleban da 35 anni». Lo dice di getto, poi si pente subito: «Che orrore siamo diventati, facciamo a gara tra chi è il più sfortunato…». Una volta al giorno, alle 8 di mattina, la «porta» viene aperta: possono passare 15 persone, secondo una lista decisa in base all’arrivo. «Possono passare le famiglie, 14 persone – spiega Sayed, il capo dal campo, e il responsabile delle liste -, e un uomo da solo. Quindici al massimo. Oggi tocca ai minori soli». Da quando Budapest ha deciso di chiudere la rotta balcanica sigillando la frontiera con 175 chilometri di barriera presidiata da 10 mila agenti – i «migrants hunters», i cacciatori di migranti -, c’è un solo modo per entrare legalmente nel Paese e proseguire il viaggio verso l’Europa: passare dalle due zone di transito autorizzate, una è a Horgos, dove stanno gli afghani, l’altra è Kelebia, dove aspettano i siriani. Trenta persone al giorno. Nulla rispetto ai flussi verso Grecia e Italia.

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