All’Italia il record negativo di giovani che non lavorano e non studiano

15 Set 2016 12:43 - di Antonio Marras

I Neet parlano soprattutto italiano. Secondo il rapporto Ocse 2016 diffuso oggi, in Italia oltre un terzo dei giovani tra i 20 e i 24 anni di età non lavora e non studia (Neet). Tra il 2005 e il 2015 la percentuale dei giovani in questa condizione è aumentata in misura superiore rispetto agli altri paesi Ocse: +10 punti. Ciò è in parte dovuto alla crisi economica che ha avuto come conseguenza un calo del 12% del tasso di occupazione dei 20-24enni. Tuttavia, l’Ocse fa notare che altri Paesi, come Grecia e Spagna, hanno visto una diminuzione simile (o maggiore) del tasso di occupazione senza registrare un aumento così vistoso dei Neet. In questi Paesi molti giovani disoccupati sono stati reinseriti nell’istruzione (in Grecia la percentuale di 20-24enni iscritta a un corso di studi è aumentata del 14% e in Spagna del 12%, mentre in Italia è solo +5%). Il fatto che molti giovani senza lavoro non abbiano scelto di proseguire gli studi suggerisce che l’Università non viene ritenuta un’opzione attraente per entrare nel mercato del lavoro.

Giovani in difficoltà anche all’Università

In Italia circa l’80% dei giovani studenti iscritti all’università (corsi di laurea di primo e secondo livello) non riceve alcun aiuto finanziario o sostegno per le tasse d’iscrizione sotto forma di borse di studio o prestiti. Questo “ulteriore ostacolo” all’accesso all’istruzione terziaria emerge dall’ultimo rapporto Ocse “Education at a glance” diffuso oggi. Soltanto uno studente su cinque usufruisce di una borsa di studio, nonostante le tasse d’iscrizione ai corsi di laurea di primo livello nelle istituzioni pubbliche si collochino al nono livello più alto tra i Paesi con dati disponibili (i dati per l’Italia includono anche i corsi di laurea di secondo livello). E la percentuale di studenti che utilizzano i prestiti bancari garantiti dal settore pubblico, sebbene stia segnando un rapido aumento, è ancora inferiore all’1%.

Prof anziani e mal pagati

Il corpo insegnante italiano è il più anziano rispetto a quello di tutti i Paesi Ocse e registra una delle quote più basse di docenti di sesso maschile. Sei/sette prof su dieci sono ultracinquantenni (58% nella scuola primaria, 59% nelle Medie e 69% nelle Superiori) mentre otto su dieci sono di sesso femminile. Anche in questo caso la fonte è il rapporto Ocse “Education at a glance. Nel documento si da tuttavia atto al governo italiano di aver varato un piano di assunzioni che potrebbe “ringiovanire” il corpo insegnante del Paese. Lo squilibrio di genere è molto meno spiccato a livello dirigenziale. Sebbene, infatti, il 78% degli insegnanti della scuola secondaria di primo grado sia di sesso femminile, solo il 55% dei dirigenti scolastici è donna.

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