Parisi: «Non mi candido a premier, lavoro alla rinascita del centrodestra»

3 Ago 2016 11:31 - di Redazione

Centrodestra, alleanze primarie, referendum. Stefano Parisi a tutto campo dai microfoni di Onda su La7: non farà il leader  del centrodestra, non è l’emissario di Berlusconi, non è il rottamatore di Forza Italia.

Parisi: non sono un rottamatore

«Sono un po’ di anni che nell’ambito del centrodestra non è chiaro agli italiani il messaggio e la risposta politica. Non mi sto candidando affatto a fare il leader, ma a dare un contributo». L’ex candidato alla guida del Comune di Milano è convinto che le persone abbiano bisogno di una offerta politica affidabile e di candidati che offrano «una chiara e alternativa al centrosinistra. Tolgo il M5S perché è una formazione di anti-governo». Poi aggiunge: «Berlusconi mi ha chiesto di fare un’analisi di come sta il partito, io non sono di Forza Italia». Prenderà la tessera azzurra? «Non lo so dipende. Il tema vero è che c’è nell’ambito di quest’area politica uno spazio molto importante da recuperare, il centrodestra in questi anni ha dimezzato il consenso». Il buon risultato a Milano – osserva Parisi – ha rivitalizzato un’area politica. Insomma Berlusconi ha pensato “prendiamo un attimo questo signore che ha fatto questa esperienza a Milano e vediamo se possiamo importarla a livello nazionale”».

Le primarie sono uno strumento, non l’unico

Quanto alla leadership l’ex direttore generale di Confindustria vede di buon occhio le primarie anche se, sottolinea, «le primarie sono uno strumento ma non è che sono lo strumento. In Italia da decenni c’è la democrazia ma solo da poco si scelgono i candidati con le primarie». La mission consegnata dal Cavaliere è quella di  individuare le criticità e proporre delle soluzioni. Ancora una volta Parisi sottolinea che tra l’esito del referendum costituzionale e la tenuta del governo non c’è un nesso di causa-effetto.

«È  sbagliato dire di votare no per mandare via Renzi, che comunque non vuol dire che se vince il no Renzi deve rimanere. Se vince il no dobbiamo spiegare agli italiani in Europa che il Paese vuole comunque fare le riforme e ha bisogno di un governo che prosegua, qualunque esso sia e che imposti una riforma fatta bene». Una linea, quest’ultima, che va riformulata perché rende perplessi Giorgia Meloni  e Matteo Salvini.

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