Libia, dalla padella alla brace: le bande di Sarraj urlano «Allah Akbar»

12 Ago 2016 11:13 - di

Il 70% di Sirte in Libia è libero dall’Isis, le bandiere nere del Califfato che prima sventolavano sui palazzi vengono date alle fiamme e la città sarà sotto il totale controllo delle milizie libiche fedeli al governo Sarraj «entro due giorni». Le bande che sostengono Sarraj sono entrate nelle strade gridando «Allah Akbar». Il fragile governo di Sarraj, appoggiato chissà perché dalla Ue, non controlla assolutamente il territorio, ed è sostenuto da gruppi islamici integralisti. Il governo di Tobruk, sostenuto dai Paesi arabi e indirettamente anche dalla Francia, controlla certamente più territorio. Comunque, il giorno dopo la caduta del quartier generale dello Stato islamico, è iniziato l’assalto finale alla roccaforte dei jihadisti in Libia, mentre nei cieli proseguono i raid americani. Le forze al Bunyan al Marsous, fedeli a Tripoli, avanzano all’interno dei palazzi liberati, sui cui tetti una volta erano issati i vessilli del Califfato, ora rimpiazzati con le bandiere dell’indipendenza. È l’inizio della rappresaglia contro il nemico, uno degli aspetti più simbolici di questa battaglia. Ed emblematico è anche l’appellativo con cui è stata battezzata l’ultima fase dell’operazione: Macomedes, l’antico nome di Sirte. Siamo nella fase finale, ha annunciato il generale Mohamed el Ghasri, portavoce delle milizie, dopo l’attacco condotto dagli «eroi penetrati nelle sale del centro Ouagadougou, negli edifici governativi, nell’ospedale Ibn Sina, nell’Università, nei palazzi della Union Bank e della Commercial International Bank. Operazioni avviate con «carri armati, armi pesanti e leggere», ha aggiunto Ghasri, convinto che Sirte guadagnerà la sua libertà nei prossimi giorni, dopo la bonifica.

Libia: il fragile governo Sarraj controlla una minima parte del Paese

Dal primo agosto, caccia e droni americani hanno condotto 36 attacchi sugli obiettivi dei jihadisti. Solo mercoledì sette raid aerei Usa hanno colpito due camion con artiglieria pesante, una decina di postazioni di combattimento e alcuni veicoli di supporto dei fondamentalisti. Tragico invece il bilancio dei morti. Dal lancio dell’operazione militare lo scorso maggio hanno perso la vita 360 terroristi islamici  e i feriti sono migliaia. La nuova missione adesso è la ripulitura del Centro Ouagadougou da eventuali trappole, come mine e autobomba, per poi proseguire nell’offensiva finale contro gli ultimi bastioni dei seguaci del Califfo asserragliati in tre aree residenziali adiacenti al porto. Stando a fonti statunitensi citate dalla Bbc, l’Isis potrebbe ancora contare sull’appoggio di poco meno di 1.000 jihadisti, molti dei quali sarebbero foreign fighter o veterani dei conflitti in Siria e in Iraq.

Libia, gli interrogativi restano

Ma gli interrogativo restano: «Ho simpatia e stima per il presidente Casini ma potrebbe risparmiarci le lezioncine di ferragosto. Sappiamo bene ciò che abbiamo approvato. Il governo può agire in maniera riservata per limitati interventi riguardanti operazioni che potremmo definire, semplicisticamente, di competenza dei Servizi segreti o di sicurezza. Un coinvolgimento di altra natura non è consentito dalle leggi che abbiamo votato»: così Maurizio Gasparri senatore di Forza Italia. «In Libia si stava dispiegando un’azione militare tra l’altro, a differenza di quella del 2011, condivisibile. Serraj chiama gli americani per bombardare i fondamentalisti ma non consente all’operazione EuNavFor Med di avviare la terza fase per il contrasto degli scafisti. L’Italia insomma svolge un ruolo marginale. In ogni caso, anche alla luce della legge che approvammo, un impegno più ampio e diretto, ad esempio connesso allo sminamento delle zone interessate da un conflitto, deve essere discusso in Parlamento. Siamo quindi pronti a impartire noi una lezioncina di democrazia parlamentare. Se l’Italia si sta impegnando militarmente in Libia, Renzi è pregato di venire in Parlamento a riferire perché vogliamo capirne le finalità. Stroncare il fondamentalismo con un impegno internazionale è ciò che Berlusconi ha sempre detto. Renzi invece sfrutta oltre i limiti del consentito le leggi vigenti.»

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