L’attacco alla Libia è l’ennesima mossa di Clinton e Obama contro Putin

5 Ago 2016 7:56 - di Redazione
L’intervento americano in Libia cinque anni dopo la guerra civile che culminò con l’uccisione di Muammar Gheddafi è il frutto di molteplici cause sia di politica interna sia di politica estera e tutte determinate dal peggioramento dei rapporti tra Usa e Russia. Veniamo ai problemi di politica interna. Si tratta della competizione elettorale tra Donald Trump e Hillary Clinton. Il tono muscolare dei discorsi dello sfidante repubblicano si fonda su un amalgama di neo-isolazionismo e di rivendicazione della grandezza nord americana disposta anche a dimenticare il ruolo mondiale di esportatore di sicurezza che è stato il nocciolo duro della politica estera Usa a partire dalla seconda guerra mondiale, si legge su “Il Messaggero“.

L’attacco Usa in Libia ultima mossa contro Putin

Pur di far mostra di difendere i soli interessi della nazione. Trump si fa beffe delle alleanze come la Nato e non nasconde le sue simpatie per Vladimir Putin. Quest’ultimo, del resto, è entrato di prepotenza nella contesa con i cyber-attack diretti a indebolire la Clinton con un nuovo capitolo delle guerre asimmetriche che la Russia conduce contro gli Usa tanto in Ucraina quanto in Medio Oriente. Non è il caso qui di esaminare i motivi profondi di tale ostilità e di ciò che gli Usa hanno fatto per riaccenderla. Rimane il fatto che tutto ciò ha imposto a Barack Obama e al Partito democratico di mostrare i muscoli su un fronte in cui gli Usa hanno accumulato serie sconfitte culminate con l’attentato all’ambasciata di Bengasi l’11 settembre 2012.

Bengasi resta una macchia  nella carriera della Clinton

La Clinton tentò di nascondere le falle nel sistema di sicurezza americano quando era Segretario di Stato e responsabile della politica estera, e ciò gli viene spesso rimproverato nell’agone della battaglia elettorale. E qui veniamo alle ragioni più legate all’equilibrio di potenza mondiale in merito all’attuale intervento nord americano in Libia in questo strettissimo intreccio tra politica nazionale e internazionale. Queste ragioni di potenza hanno a che vedere con il ruolo della Russia in Medio Oriente, un ruolo che si fa sempre più determinato e incisivo avendo già raggiunto due importanti obbiettivi. Il primo è il salvataggio del presidente siriano Bashar al-Assad, che ormai è diventato un interlocutore fondamentale nella lotta contro l’Isis riacquistando potere e influenza sul piano regionale e garantendo cosi il mantenimento della base russa in Siria che, con quella di Sebastopoli in Crimea costituisce la garanzia di una presenza della Russia nel Mediterraneo. Il secondo obbiettivo russo è creare un rapporto privilegiato con l’Egitto dopo il fallimento delle cosiddette Primavere Arabe promosse dai servizi americani sino ad appoggiare la salita alla presidenza egiziana del “Fratello musulmano” Mohamed Morsi, presto sostituito dal più rassicurante capo dell’oligarchia militare, il generale Al Sisi. Ebbene, anche in questo caso la Libia è in gioco. L’Egitto ha da sempre rivendicato a sé la Cirenaica, sia quando era una forte provincia dell’Impero Ottomano, sia quando era un protettorato inglese.

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