Miliziani al fronte, costi e ricavi: ecco il listino dei prezzi da pagare alla Jihad

5 Lug 2016 16:38 - di Ginevra Sorrentino

Squarci di vita al fronte: roba da rabbrividire. La trincea è quella siriana, dove i miliziani del terrore agli ordini del Califfo vivono per uccidere, torturare, schiavizzare. Un’impresa che ha i suoi costi, come noto, ma non proprio i suoi benefici economici: stando infatti a quanto sta emergendo in queste ore nell’Aula della Corte Suprema di Sydney al processo di un foreign fighers, il trattamento riservato ai combattenti dello Stato Islamico è decisamente al di sotto di qualunque lusinghiera idea ci si possa fare a riguardo.

Costi e “ricavi” dei miliziani al fronte siriano

E infatti, uno squarcio sull’esperienza di vita quotidiana dei miliziani stranieri arruolati al fronte dall’Isis in Siria, sta emergendo dal processo nella Corte Suprema di Sydney a carico di un reclutatore alla sbarra in queste ore: in Aula, infatti, sono state presentate come prove centinaia di messaggi trasmessi e ricevuti via Skype e WhatsApp dall’imputato, Hamdi Alqudsi, accusato di aver preparato sette uomini a combattere in Siria, fra giugno e novembre 2013. Secondo le informazioni ricevute da Alqudsi per conto di potenziali reclute, il trattamento prevedeva una paga mensile pari a 60 dollari australiani (41 euro) per gli uomini sposati, pasti inclusi, ma i combattenti dovevano pagare per andare al ristorante e per comprare gelati e vestiario.

Ecco l’elenco delle rinunce

Una sorta di listino prezzi, quello in dotazione a reclutatori e reclute, che tra costi e ricavi del business bellico annovera anche un materasso di spugna da piazzare sul pavimento ovunque si desideri, sia all’interno che all’aperto, come pure, tra i maggiori inconvenienti da mettere in conto per le reclute occidentali, la totale assenza di carta igienica. «Il mangiare non è un problema, grazie a Dio», assicura un messaggio, almeno quello. E non è ancora tutto: il report sulla quotidiniatà militare in Siria prosegue con i gabinetti, che «sono come alla Mecca, accosciati secondo la Sunnah (legge islamica) e con acqua da un secchio per pulirsi»: quel minimo sindacale ritenuto evidentemente un lusso se il reclutatore in questione, tempo addietro, aveva addirittura chiesto a un combattente – Caner Temel, poi morto in un combattimento – di aiutare a produrre un video che incoraggiasse i musulmani australiani a «sostenere la jihad e a preparare i mujahedin per la gloria di questa religione». Alqudsi scrive anche del suo desiderio di raggiungere le sue reclute in Siria, ma quando ha cercato di partire dall’Australia nel 2013 il suo passaporto è stato cancellato.

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