Dopo l’addio di Schifani, Renzi teme l’effetto domino sul governo

20 Lug 2016 13:07 - di Giacomo Fabi

Prima o poi doveva accadere in un partito che si chiama (Nuovo) Centrodestra e sta al governo con la sinistra. Doveva accadere, prima o poi, che il (falso) mito della governabilità sgombrasse il campo per dare libero sfogo alla (reale) esigenza di salvare la poltrona. E ora che sta accendo – o, meglio, è accaduto – con Renato Schifani che lascia l’incarico di presidente dei senatori del Ncd per strizzare l’occhietto a Berlusconi, la sopravvivenza politica di Angelino Alfano e dei suoi fedelissimi rischia di diventare una vera emergenza per l’intero governo Renzi.

Con Schifani altri 10 senatori

Vero è che Schifani ha detto e ridetto che seguirà disciplinatamente le indicazioni del nuovo capogruppo, ma è altrettanto incontestabile che il suo status è ormai quello di dissidente rispetto alla linea politica del leader. Che tradotto vuol dire che presto o tardi comincerà a votare in maniera difforme dal partito. E con lui – sussurrano fonti bene informate – almeno altri dieci senatori. A Palazzo Madama i numeri della maggiornza sono quelli che sono, molto risicati. La possibilità che si assottigli ancora rischia di vanificare i funambolismi di Denis Verdini e del viceministro Enrico Zanetti entrambi impegnati nel rastrellare senatori al fine di puntellare Renzi. Il quale, al momento, ostenta indifferenza per il travaglio del suo alleato, ma è il primo a sapere che l’apertura di un fronte sulla tenuta della maggioranza dopo quello, già rovente, interno al Pd lo farebbe arrivare stremato al referendum di autunno. L’arrivo del “generale agosto” lo farà respirare per un paio di settimane ma dopo – se Renzi vorrà evitare di finire stritolato sui due fronti – dovrà decidersi a mettere mano all’Italicum elettorale.

Per salvarsi Renzi deve gettare via l’Italicum

Che è poi è l’sos che gli ha lanciato, a nome degli alfaniani ortodossi, Fabrizio Cicchitto, nel ribadire la necessità di far dare vita a un soggetto «distante dall’attuale centrodestra» e «distinto» dal Pd di Renzi: «Quest’area di centro – ha detto – deve anche porre il problema di una modifica della legge elettorale sulla quale si è aperto un dibattito anche all’interno del Pd e non solo da parte della minoranza ma con contributi anche di esponenti della maggioranza».

 

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