Marchini sacrificio umano a Renzi, Meloni batte il Cav e lo sfida sul futuro

7 Giu 2016 12:53 - di Carmelo Briguglio

Il primo dato di queste elezioni amministrative è l’astensione. Disaffezione? Protesta? Gli italiani votano meno, ma non bisogna enfatizzare: la partecipazione (62%) scende e si avvia ad essere come nel resto dell’Occidente – Usa in testa – e i partiti-protesta, a partire dall’ M5S, non frenano l’emorragia. Il fenomeno sembra irreversibile. Secondo punto. Renzi non è imbattibile, ora non può più giocare a rete inviolata. Da Roma a Milano, a Napoli, ha perso. Prende botte in tutte le grandi città. Persino a Torino e Bologna, il Pd arretra e dovrà rifare l’esame tra due settimane. I ballottaggi diranno come finirà; il capo del governo e del Pd è appeso a Sala, ma il clima non è buono: Parisi può vincere. L’ex mister Expò sembra, anche in tv, demoralizzato, il suo avversario è più determinato e comunicativo. Si vedrà.

Renzi ha perso le amministrative: fine dell’imbattibilità

Ma, dopo il duro colpo, praticamente definitivo, a Roma e l’umiliazione a Napoli – dove il Partito democratico è escluso dal secondo turno – con la sconfitta a Milano andrebbe a fondo il Partito della Nazione, cioè la via di Renzi per allontanarsi dalla “rive gauche” e fare un Pd diversamente berlusconiano. E, con ciò, rischierebbe di affogare lui in prima persona: la vittoria del centrodestra per Palazzo Marino sarebbe un brutto biglietto da visita per la madre di tutte le battaglie, il referendum costituzionale di ottobre.
«Se la giocheranno al ballottaggio», dice il segretario del Pd ai suoi candidati. «Loro». Lo dice con distacco. Lui non c’entra. Soffre le defaillance. Non le sopporta. Come tutti i narcisi. Cerca di defilarsi; sembra dire: la mia partita è la prova referendaria di autunno. Quello sarà un voto politico, questo non lo è. Non fa autocritica. Non è capace: «Non siamo andati bene, restiamo in testa ovunque». Non ce la fa a dire quelle due parole, «abbiamo perso». Fa ciò che nega, mentre lo nega: dichiarazioni da Prima Repubblica, mentre ne condanna il lessico. Definisce il consenso al M5S un voto di protesta, alludendo che è temporaneo: non smette di fare propaganda. Ma la verità è che ha perso le Amministrative.

Raggi, Appendino, Parisi: il voto contro il Nemico Principale

I Cinque Stelle avranno il sindaco della Capitale: Virginia Raggi sarà la prima donna che sale al Campidoglio. E – dopo la morte di Casaleggio e il mezzo ritiro di Grillo – potrebbe dare lo start a una possibile seconda fase del M5S, col governo di una grande capitale europea e con un Partito sempre meno Non-Partito, diretto da leader giovani già noti, in primis Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista; ai quali si unirà per forza di cose – con limiti evidenti e preoccupanti lacune – la sindaca in pectore, ormai donna emergente nel vertice pentastellato. Anche a Torino – come certamente a Roma – i Cinque Stelle potrebbero beneficiare dell'”odio” verso il Nemico Principale: la grillina Chiara Appendino è candidata anche a fare la sorpresa, intercettando l’avversione nei confronti del “vecchio” Fassino, figura simbolica dell’establishment politico e del fronte renziano. Le due donne, al secondo turno, faranno probabilmente il pieno di elettori di centrodestra, soprattutto a destra.

La Meloni umilia Berlusconi: doppiato Marchini, scoperto il gioco pro Renzi

Terzo punto: il centrodestra, appunto. A Roma, Giorgia Meloni ha ingaggiato una battaglia coraggiosa per arrivare al ballottaggio, mettendoci la faccia. E – da sola, con l’aiuto minimo di Salvini tutt’altro che forte nella Capitale ( la sua lista ha avuto meno del 3%) – ha fatto un ottimo risultato: ha tallonato Giachetti, non ce l’ha fatta ad andare al ballottaggio, ma ha sfondato il tetto del 20 per cento, doppiando Alfio Marchini, sostenuto da Berlusconi, centristi e destre minori. E ha dimostrato che a destra esiste solo lei: gli altri sono andati malissimo (Storace, Azione Nazionale) o sono estremità irrilevante (Casa Pound). Numeri che chiudono, obiettivamente a suo favore, anche la polemica del mancato accordo con i “vecchi” post-An.
Del voto romano si deve innanzitutto “non dire”: non si può dire che il centrodestra abbia perso per le sue divisioni. Questa è analisi di superficie, banale, comoda: non affonda il coltello nei fatti e nel loro significato politico. Che è questo: Berlusconi “ha voluto” la divisione , l’ha creata ad hoc, freddamente, per impedire che Giorgia Meloni andasse al ballottaggio con la candidata di Grillo; ha deliberatamente colpito lei e Salvini. Non è un’ipotesi e neppure una congettura: l’ex Cavaliere ha lasciato tracce. La più vistosa è la sua vecchia bussola: i sondaggi. Nessuno sa testare i candidati meglio di lui. Lo ha dimostrato sempre: quella – via signora Ghisleri – è una capacità specifica, “professionale”, in cui non è secondo a nessuno. Berlusconi sapeva, “prima”, che Marchini non avrebbe avuto alcuna possibilità di battere né la Raggi, né il renziano Giachetti. E sapeva benissimo, “prima”, che la Meloni, con alle spalle il centrodestra unito, sarebbe andata quasi sicuramente al secondo turno, per poi giocarsi la partita con la candidata grillina. I risultati elettorali hanno confermato i sondaggi. Quindi, quello dell’ex Cavaliere non è stato un errore di calcolo o di valutazione, ma un preciso intendimento. Berlusconi, ha creduto di fare così perché conveniente per lui. Un piano rivelatosi fallimentare.

Berlusconi ha suicidato Marchini: inutile sacrificio umano a Renzi

Innanzitutto ha coltivato l’idea di arrestare la naturale successione nella leadership del suo campo, come a volere fermare la ruota del tempo naturale e politico. Chiuso nel suo cerchio magico – per molti “cerchio delle maghe” – ha perso di senso politico e anche di senso comune. Accade a molti tycoon, ma la sua visione, paternalistica e padronale, gli impedisce sempre di favorire – o solo consentire – un ricambio che lo riguardi. Gli è parso – o lo hanno convinto – che “quei due” lo volessero gettare via, come un ferro arrugginito. E così ha sgambettato, in modo vistoso, la presidente di Fratelli d’Italia, violando una regola non scritta ma che in politica è cogente: se si candida, in prima persona, uno dei leader della tua coalizione sei obbligato a sostenerlo. E rompendo una seconda regola: nel tradizionale schieramento di centrodestra, Milano è la capitale del partito berlusconiano (e della Lega) e Roma – da sempre – quella della destra politica, erede di Msi e An. Il vecchio leader non avrebbe mai dovuto pretendere il candidato sindaco nel territorio storico dell’alleato. Roma non è il mondo di Berlusconi, è un mondo dove c’è un forte radicamento della sinistra (confermato dal discreto raccolto di Fassina) ma anche una tradizione robusta e un’antropologia diffusa della destra. Anche l’arte, il cinema, la musica oltre che la politica e la storia recente, – a cominciare da quella degli anni di piombo – hanno rappresentato questo modo di essere dei romani, di destra e di sinistra. A tale immaginario l’ex Cavaliere è rimasto sempre estraneo. La candidata naturale a interpretare questo immaginario era l’ex ministra della Gioventù, formatasi ” on the road”, in sezioni e circoli romani della destra politica. Invece, Berlusconi ha preferito “suicidare” Marchini, che ha preso gli stessi voti del 2013, di quando si candidó da solo. E si è assunto la responsabilità – lui – di non fare arrivare la Meloni al ballottaggio.
Berlusconi – in cima ai cui pensieri ormai stanno più di ogni altra cosa le proprie aziende – ha inoltre platealmente favorito Giachetti per ingraziarsi Renzi, che su queste Amministrative si gioca molto. Cercava qualcuno da immolare al presidente del Consiglio come sacrificio umano. Lo aveva trovato prima in Bertolaso, poco consapevole vittima procurata da Gianni Letta. E poi, nel “giovane ricco” Alfio Marchini.

Giorgia ora leader matura di un partito leggero: sfidare l’ex Cav sul futuro

La Meloni era un ostacolo e così Berlusconi le è passato sopra. Ha “bruciato” Marchini, ma è stato umiliato dal risultato della leader di Fdi che ha doppiato il candidato-vittima. Ha consumato il rito sull’altare di Renzi, ma si è scoperto troppo, anche a causa di eccessi verbali che hanno messo in risalto il soccorso in stile nazareno al segretario del Pd e, tuttavia, la sua inutilità: ha incassato una doppia sconfitta.
La leader di Fdi, checchè se ne dica, ha superato un esame importante: il suo 20 per cento ne fa una leader, più matura e potenzialmente forte, che può investire sul futuro suo e di Fratelli d’Italia – partendo dal suo risultato personale ma anche da quello del suo partito (le due liste politiche hanno superato il 15%, oltre il triplo dei voti di FI) – manda in Consiglio una squadra che può avere visibilità e ruolo nell’opposizione alla Raggi. Un partito che, extra moenia, ancora forte e maturo non sembra, a giudicare dai risultati nelle grandi città: a Napoli – capitale politica del Sud, dove la destra ha sempre avuto appeal e insediamenti consistenti – è stato un errore grave candidare uno dei suoi fuori dal centrodestra di Lettieri per racimolare poco più dell’uno per cento. Anche i voti di lista al Nord – a Milano (2,4%), Torino (1,4%), Bologna (2,4%) – fanno pensare a una forza politica ancora da peso-piuma che non ce la fa, o comunque stenta, a superare gli sbarramenti d’ingresso alle assemblee elettive.
Anche per questo, la leadership del centrodestra per la Meloni e per Salvini – surclassato a Milano da Forza Italia e lui personalmente dalla Gelmini – non è dietro l’angolo: alle prossime Politiche il candidato premier non sarà Berlusconi, però difficilmente sarà uno dei due. Ma potranno esercitare un ruolo enorme, – specie se l’intesa tra i due proseguirà – nel dare un nome alla premiership. Comunque, sono dalla loro parte, soprattutto della leader di Fdi, l’età e il tempo: due beni immateriali che il ciclo della vita, umana e politica, sottrae al vecchio capo di FI e mette a disposizione dei più giovani.
Spetta alla Meloni, adesso alzare le difese e anche il livello della sfida con Berlusconi, ma senza farsi imprigionare dal (giusto) risentimento: le sarà più utile capitalizzare il torto subìto e farlo valere come credito al tavolo del centrodestra che verrà. Quando verrà.

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