I Cinquestelle scoprono il fascino del potere: «Ora vogliamo Palazzo Chigi».

20 Giu 2016 17:32 - di Lando Chiarini

Archiviati, con successo, i ballottaggi di Roma e Torino, espugnate rispettivamente da Virginia Raggi e Chiara Appendino, i Cinquestelle ormai affrancati dalla tutela di Beppe Grillo puntano direttamente a Palazzo Chigi. In questo sono del tutto simili ai partiti e ai movimenti che li hanno preceduti negli anni. Ve ne fosse stato uno, uno solo, che non avesse pensato a conquistare il governo nazionale dopo aver ottenuto qualche sindaco, fosse anche del più remoto paesino d’Italia. Figuriamoci questi che hanno appena conquistato la Capitale e quella che tale fu fino al compimento dell’unità nazionale.

I Cinquestelle: «Pronti a governare»

Matteo Renzi è avvertito: il doppio squillo vincente di Roma e Torino è per lui un segnale d’allarme decisamente sinistro. I Cinquestelle lo sanno e si divertono a mettergli paura: «Siamo pronti a governare» è ormai un grido imperioso che assedia il premier da ogni dove. Lo dice Di Maio, lo ripete Di Battista, lo sussurra Fico e naturalmente si legge sui volti raggianti della Raggi (scusate il bisticcio) e della Appendino. Infine, lo grida anche lui, il Grillo defilato, che ha scelto la penombra alle luci della ribalta fiutando in anticipo che la nuova fase che si sta dischiudendo per il MoVimento da lui inventato a base di Vaffa day è per lui bello e amaro perché ne sancisce il coronamento e, nello stesso tempo, il superamento.

Nella nuova fase meno spazio per Beppe Grillo

La sfida del governo, con i suoi rischi e le sue insidie non è affare per comici annoiati. Da oggi in poi non si tratterà più di scaricare raffiche di «onestà-tà-tà-tà» né di fare l’elenco delle cose che non vanno ma quello delle cose fatte. Al M5S spetta ora l’onere del risultato. La speranza della vigilia è finita, il giorno è arrivato. Messo così, cioè illuminato dalla severa luce della responsabilità, il «siamo pronti a governare», più che a un irresistibile annuncio di future conquiste, somiglia a una tecnica di autoconvincimento che solo il pudore e le convenienze della politica impediscono di suturare con un punto interrogativo. «Trionfo e rovina – scriveva Rudyard Kipling – sono due impostori». E aveva ragione perché entrambi finiscono per portare fuori strada chiunque vi resti impigliato a lungo. E gli euforici apprendisti-governanti della “Casaleggio Associati” non appaiono certo destinati a fare eccezione.

 

 

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