Dopo il voto alle amministrative, vince chi osa e chi sa emozionare

21 Giu 2016 13:26 - di Mario Bozzi Sentieri

C’è anche il “ritorno” di Clemente Mastella, neosindaco di Benevento, nell’intricata matassa delle ultime elezioni amministrative. E già questo la dice lunga su come sia tutt’altro che scontata la lettura dell’odierna  stagione politica, fatta di tanti chiaroscuri, di luci e di ombre. Tra lo “sfondamento” pentastellato e il tracollo del Pd (sconfitto a Roma e a Torino, azzerato a Napoli, usurato in tante città di medie dimensioni) il primo dato evidente  è che il centrosinistra perde sul territorio, proprio là dove tradizionalmente la sinistra si imponeva per il suo radicamento sociale, per la sua organizzazione capillare, per la sua capacità di selezionare una classe dirigente credibile.

 Amministrative, parlare di moderati e progressisti non ha senso

Vince Mastella, vince Luigi De Magistris, vincono i neosindaci del Movimento 5 Stelle e del centrodestra innanzitutto per lo sfarinamento politico-organizzativo del Pd, illuso  dalle “primarie” e dal buon governo di Renzi, dell’uomo-solo-al-comando, incapace, alla prova dei fatti,  di cogliere gli umori del Paese reale, le domande e le divisioni  di città segnate dalla crisi e dall’esclusione sociale. E poi,a vincere, è la voglia  di osare, di non temere rotture e sintesi inusuali, come dimostrano le analisi sulla composizione dell’ elettorato dell’ M5S, autenticamente trasversale per la sua capacità  di intercettare l’antipolitica e le vecchie appartenenze di centrodestra e di  centrosinistra.

In questo contesto parlare di “moderati” o “progressisti” non ha senso. Contano  la conoscenza del territorio e gli umori della gente. Gli stessi programmi hanno scarsa rilevanza se non sono sorretti dalla volontà del leader di turno. Soprattutto se non comunicano emozioni ed aspettative reali. Storia  vecchia e nuova, che richiama la “grammatica della persuasione”, studiata da Gustave Le Bon, uno dei maestri della psicologia politica: «Un oratore popolare – scriveva Le Bon –  che si rivolgesse, come tanti onesti logici pensano, all’intelligenza dei propri uditori, non convincerebbe nessuno, anzi non sarebbe neppure inteso. Invece, per mezzo di gesti, formule, parole evocatrici di immagini, egli influisce sulla loro sensibilità, e così raggiunge la loro volontà».

Ecco il dato reale: la capacità di raggiungere la volontà della gente, di interpretarne le frustrazioni, facendo – nel contempo – balenare l’alternativa, percepita come possibile. È un mix  complesso quello che si è creato nell’ultima tornata elettorale, provocando la rottura di vecchi schemi, un mix fatto di paure, di domande inascoltate dai vecchi apparati, ma anche di speranze, di aspettative. La logica delle “ruspe” ha funzionato poco. Meglio la capacità di essere seduttivi, di sapere emozionare, di creare il contagio mentale. Il richiamo alle “appartenenze” partitiche è stato sopravanzato dalla fisicità dei candidati. La  politica-politicante ha lasciato il campo alla narrazione del vivere quotidiano.

Quanto poi  questo sovrapporsi di idee, di emozioni, di aspettative riuscirà a  trasformarsi  in forza politica, potenzialmente di governo, è difficile dirlo. Il campo è aperto a qualsiasi ipotesi. Tra  Rivoluzione e Restaurazione  spesso il passo è breve. Importante intanto  è decidere da che  parte stare.

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