Ripubblicato l’introvabile “Giro d’Italia” di Pavolini: un affresco sul fascismo

26 Mag 2016 19:27 - di Antonio Pannullo

È stata davvero una lieta sorpresa la ripubblicazione dell’introvabile Giro d’Italia, il primo libro scritto da Alessandro Pavolini nel 1927, ossia quando il futuro ministro della Cultura popolare aveva appena 24 anni. La coraggiosa casa editrice che l’ha riproposto è l’Editoriale Lupo di Bologna, che ha al suo attivo altri tre volumi introvabili: Scomparsa d’Angela, sempre di Pavolini, L’amante del Cardinale, di Benito Mussolini, e Rivolta ideale, di Alfredo Oriani. L’animatore della casa editrice è il giornalista e scrittore Massimiliano Mazzanti, che ha scritto anche la prefazione di Giro d’Italia. Ma prima della prefazione vi sono alcune righe del commovente messaggio che Mia Pavolini, la figlia di Alessandro, ha voluto inviare all’editore: «La spinta a scrivere – dice tra l’altro del padre – era da sempre per lui un bisogno vitale, uomo raro di pensiero e azione. Appassionato di percorrere le strade in bicicletta. Era uno sportivo, scrittore, giornalista, con una visione poetica su tutto, anche quando fu chiamato poi ad alte cariche politiche». Alessandro Pavolini è figura troppo nota per doverla qui ricordare. Basterà solo tenere presente che a lui, fiorentino doc e innamorato della sua città, si deve il Maggio Musicale Fiorentino, la stazione di Santa Maria Novella, l’autostrada Firenze-Mare, il rilancio del tradizionale calcio in costume fiorentino. La cultura prima di tutto. E questo, Giro d’Italia lo dimostra: è un romanzo, un romanzo d’amore tra due giovani, ambientato nella Firenze degli anni Venti, quando l’Italia insieme al calcio seguiva il ciclismo, e soprattutto il Giro d’Italia.

“Giro d’Italia” racconta un’Italia e una Firenze scomparse

La vicenda di Italo e Lucilla, lui corridore lei studentessa, è delicata ma rapisce, intriga, lo schema narrativo è moderno, la prosa poetica, lo stile ineccepibile, niente affatto scolastico come ci si potrebbe aspettare da un 24enne. Le caratterizzazioni dei personaggi sono studiate e descritte a fondo, l’introspezione dei caratteri è magistrale, e su tutto aleggia anche la politica di quegli anni straordinari: dallo squadrismo alla Marcia su Roma, ai valori del fascismo così come lui li vedeva: la famiglia, l’onore, lo sport, la semplicità, il lavoro. Lui, Italo, è un contadino, fascista, che partecipa talvolta alle spedizioni contro i rossi nella rossissima Toscana, che non vuole fare più il contadino ma il ciclista; lei, ragazza di buona famiglia, borghese, studentessa, è fidanzata per abitudine con uno pseudo intellettuale ovviamente antifascista, che detesta lo sport e vuole tenere prigioniera Lucilla con il laccio del nozionismo e dell’intellettualismo sterile. Alla fine il fidanzato antifascista, pazzo di gelosia perché Lucilla è sempre più attratta dal campione che si avvia a vincere il Giro, organizza con dei comunisti una squadraccia per farlo aggredire durante una tappa e farli perdere la meritata vittoria. Ma non andrà così. Il lieto fine non è affatto scontato. Giro d’Italia è un gigantesco affresco di costume, con nomi di personaggi allora famosi, oggi totalmente sconosciuti, un ritratto di una Firenze passata ma affascinante, raccontata con un linguaggio purissimo epperò con qualche toscanismo, che dà un valore aggiunto all’intera narrazione. Un romanzo, insomma, come dice Mazzanti nella prefazione, che i giovani di oggi dovrebbero leggere, per sapere come si viveva in questo Paese 80, 90 anni fa, con le passioni, i problemi, le aspettative dei giovani che camminavano insieme al secolo. In conclusione, Giro d’Italia è una piacevolissima quanto inaspettata sorpresa.

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