M5S alla prova della questione morale, oscilla fra giustizialismo e garantismo

8 Mag 2016 11:47 - di Paolo Lami

Si taglia a fette l’imbarazzo nell’M5S per l’avviso di garanzia al sindaco di Livorno, Filippo Nogarin, indagato per la vicenda dell’Aamps, la municipalizzata comunale dei rifiuti piena di debiti a causa della dissennata e disastrosa precedente gestione targata Pd. E ci si interroga, fra i grillini, se sia giusto e opportuno che il sindaco dei Cinquestelle debba dimettersi immediatamente, più avanti, quando, magari, si fa più chiarezza o, quando arriva l’eventuale sentenza di terzo grado oppure restare in carica. Gli M5S, insomma, sono chiamati a fare i conti con la loro cifra giustizialista che ne ha contraddistinto l’azione politica e ideologica  in tutti questi anni e che li ha portati spessissimo  in rotta di collisione con il Pd. E’ arrivato anche per gli esponenti del movimento di Grillo il momento di interrogarsi sulla questione morale in casa propria pur se, tuttavia, appare evidente che la vicenda di Livorno rappresenta un caso a sé, essendo originata proprio dalla decisione del sindaco grillino di portare i libri in Tribunale. E forse, allora, la riflessione diventa molto più vasta, ben aldilà dei confini geografici. E sfocia, inevitabilmente, non solo nel rapporto quasi simbiotico che i grillini hanno sviluppato in tutti questi anni di contestazione con la corporazione dei magistrati, difesa a spada tratta sempre e comunque, ma, anche nella valutazione e nel peso specifico che si è andato ad assegnare, dalla oramai lontana vicenda di Mani Pulite in poi, al ruolo dell’avviso di garanzia che, come dice il nome, dovrebbe essere, appunto, di garanzia. Ma così non è stato negli ultimi anni. E, in questo, prima la sinistra e, poi, a ruota, i grillini, hanno avuto e hanno le loro responsabilità nell’aver strumentalmente interpretato in maniera ideologica, piegandolo alle proprie necessità della politica spicciola, un’istituto giuridico che non era e non è una condanna.
Non resta, allora che guardare i grillini fare i conti con le proprie contraddizioni, così come, molto di più e molto più amaramente, ha dovuto fare la sinistra, massacrata dalle inchieste della magistratura, ma solo negli ultimi anni, giacché la grazia di Mani Pulite sembra essere un ricordo lontano.
Riflette Federico Pizzarotti, sindaco di Parma è uno dei simboli forti dell’M5S di governo: “Dovevamo aspettarci le reazioni degli altri, mi pare scontato. In questo caso non abbiamo espresso una sentenza prima di vedere i fatti, in altri casi sì”, ma “bisogna capire come vanno le cose nel mondo reale prima di emettere sentenze. A Filippo Nogarin esprimo la mia vicinanza e gli consiglio di andare avanti”. Pizzarotti, che è stato il primo eletto con l’M5S e uno dei primi costretto a marcare le distanze con Grillo nella politica politicata, fa un ragionamento laico che sfiora il garantismo: “anzitutto non bisogna fare i giudici prima che i giudici abbiano parlato. Ci sono iter e modalità da seguire” e poi “vorrei che fosse chiaro che amministrare è diverso che fare opposizione: è facile in Parlamento utilizzare frasi sensazionali, ma non è che tutti gli altri sono cattivi e noi tutti buoni. Per sistemare i problemi a volte è necessario sporcarsi le mani”. Apriti cielo. Significa sconfessare i principi fondanti dell’ortodossia grillina. “Se vogliamo andare al governo – afferma con un realismo che fa storcere la bocca ai duri e puri – dobbiamo capire che anche nei ministeri o altrove troveremo situazioni complesse. Crediamo di eliminare quarant’anni di marcio con la bacchetta magica?”.
Un realismo che non trova completamente d’accordo Alessandro Di Battista, deputato di punta del grillismo e rappresentante del giustizialismo più feroce: “Aspettiamo di vedere le carte, perché sull’avviso di garanzia per ora non c’è scritto molto – dice un insolitamente cauto Di Battista – potrebbe essere un atto dovuto. Se invece non dovesse esserlo e ci dovessero essere “condotte”, diciamo così, contrarie al Movimento 5 Stelle o alla legge, allora il sindaco Nogarin ne trarrà le conseguenze”.
Si dovrebbe dimettere?, gli chiede il giornalista del Corriere della Sera. “Certo, lo ha detto anche lui del resto. Non è che il Movimento attende la sentenza di terzo grado come fanno gli altri”, rileva Di Battista. “Consideriamo che la questione è particolare”, marca le distanze con il Pd, rispondendo ad una domanda in proposito: “Quell’azienda, la Aamps, è piena di debiti. E siamo noi del Movimento che l’abbiamo detto, portando i libri in tribunale. Quest’inchiesta è complessiva e riguarda tutte le persone che hanno messo le mani in Aamps”. Questa indagine non danneggerà il M5S alle comunali? “Ma no – replica con sicurezza Di Battista -, si vede anche dalla tranquillità con la quale rispondiamo. Noi siamo molto tranquilli”.
E forse serviva una vicenda come questa per capire che il mondo si è ribaltato se una come Rosy Bindi arriva a dire anche al suo sanguinante partito che “la “questione morale” è questione di tutti ma né la lotta alla mafia né la questione morale possono essere usate come strumento di lotta tra le forze politiche”. Detto da chi, fino a pochi giorni fa ha distribuito patenti di correttezza, onestà e accuse strumentali agli avversari, fa un certo effetto.

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