L’incredibile vita di Carlo Gentile, padre “coraggio” del leader degli indiani

28 Mag 2016 15:30 - di Luca Maurelli

«Lo sguardo fiero degli indiani, di quelli semplici come dei capi tribù più importanti, che emerge da ciò che resta del repetorio fotografico del pionere napoletano, trasmette tutto l’orgoglio della lotta intrapresa contro il genocidio progettato e messo in atto dall’invasione dei bianchi». Invasione, dunque. Ricordate questa parola e fissate bene questa immagine. La “fotografia” è del giornalista Vincenzo Nardiello, autore della prefazione (nonché curatore del volume, postumo) al libro di Armando De Simone dedicato a Carlo Gentile, un napoletano dalla vita incredibile e leggendaria, vissuta negli anni in cui il colonialismo sabaudo e le spolazioni ai danni del meridione post borbonico si mischiavano, oltre Oceano, ai processi di “desertificazione” culturale ed etnica dei nativi d’America per mano dei civilissimi “bianchi”. In quel racconto di De Simone – molto più di una biografia – c’è la descrizione di una sopraffazione culturale che si consumava nel golfo di Napoli e al sud ai danni di una capitale culturale e scientifica, trasformata in periferia del Regno d’Italia, mentre negli stessi anni si spegnevano i fuochi delle battaglie impari di Cochise e dei suoi Apache nelle praterie dell’Arizona, come in un copione parallelo che si sviluppava su due fronti lontani e intangibili tra loro.

In “Carlo Gentile, un napoletano tra gli indiani d’America” (Controcorrente, pp.207,  10 euro), Armando De Simone, giornalista napoletano più vicino al profilo dello storico che del cronista politico, ripercorre le tracce di un pioniere della fotografia italiana, nella seconda metà dell’Ottocento, che decide di partire alla scoperta del mondo a lui più lontano, quello degli indiani delle riserve. E lì prima si innamora di quegli indomiti guerrieri pellerossa, non ancora storditi dall’alcol e dalla violenza della razza bianca, poi adotta un bambino rimasto orfano “comprandolo” per trenta dollari d’argento, l’equivalente di sei cavalli. Quel bambino diventerà prima un bravo medico poi un grande leader dei nativi, fondando il più importante movimenti di rivendicazione politica dei diritti degli indiani d’America: Wasaja, poi ribattezzato Carlos Montezuma, oggi è nei libri di storia, e con lui anche quel padre adottivo, Carlo Gentile, che sognò un ritorno a Napoli per tutta la vita ma poi morì, suicida, in America, col grande rimpianto di aver perso, perché andate distrutte, le sue migliori collezioni fotografiche realizzate in una vita di lavoro da “artista” e sperimentatore nel nascente settore della fotografia.

Carlos Montezuma, però, fu il suo grande capolavoro. Wassaja (che significa “segnalazione” o “cenno”) era figlio naturale di un capo di nome Co-cu-ye-vah. Nell’ottobre del 1871, all’età di 5 anni, Wassaja “Carlos” fu catturato da una banda di predoni indiani insieme ad altri bambini per essere venduti in cambio di denaro o cavalli. Nel piccolo e sperduto villaggio di Adamsville in Arizona il bambino incontrò Carlo Gentile. Quel binomio divenne inscindibile: viaggi, lavoro, rivendicazioni, fino a quando Carlos – costretto a una vota di sacrifici per pagare gli studi al figlio – scese in campo ufficialmente per fondare la Society of American Indians, la prima organizzazione per i diritti civili creata e diretta dagli stessi nativi americani.

Ma Gentile, di nome e di fatto, quando pensava alle battaglie degli indiani ragionava anche su quelle del suo Regno d’origine, di cui nel libro Armando De Simone racconta il progressivo smantellamento economico e culturale da parte degli “unificatori”, fino alla inevitabile fuga verso un mondo migliore di milioni di persone, verso l’America,con l’inizio del fenomeno delle maxi emigrazioni che De Simone racconta con accenti che suggeriscono incredibili parallelismi con quanto accade oggi lungo le nostre coste. «Ma Gentile si imbarca per migliorare se stesso, non per inseguire un sogno lontano e dai contorni confusi e poco definiti, insegue una passione che lo sorprende, lo prende, è la passione umana che lo sospinge. Pura concreta, oltretutto, da poter essere rinchiusa in una camera oscura. E migliorando se stessa migliorerà il mondo – scrive il giornalista del “Roma” Vincenzo Nardiello – Un mondo a lui fino allora sconosciuto, che il fotografo partenopeo aveva raggiunto proprio con l’obiettivo di comprenderlo ed immortalarlo affinché potesseessere divulgato – attraverso la fotografia – in Italia e in Europa». Un mondo, quello di Gentile, di cui ci restano molte immagini, non tutte, ma soprattutto l’esempio, grazie alla ricerca, durata anni, di Armando De Simone. Un “pioniere” della libertà, anche lui, come Wassaja.

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