L’analisi – Ciò che la Destra italiana deve a Marco Pannella

23 Mag 2016 11:13 - di Carmelo Briguglio

Giorgia Meloni lo saluta come “grande uomo, di cui spesso non ho condiviso idee e battaglie, ma che ho sempre stimato per tenacia e coerenza. L’Italia perde una voce libera di cui sentirà la mancanza”. E Gianfranco Fini come esempio di vita la cui “fede nelle proprie idee, e la tenacia nel sostenerle, restano nella memoria di un popolo assai più dei titoli onorifici e degli incarichi ricoperti”. Giorgio Almirante sarebbe stato contento di questi due addii che da destra riceve Marco Pannella. Nel ricordarlo non c’è stato osservatore che non si sia soffermato sui suoi rapporti con la destra.

Giorgio e Marco, seduttori politici di alto rango

E in particolare con Almirante; ma anche con altre personalità, come Pino Romualdi, “divorzista” che mai divorziò ( “Io che sono forse l’unico dirigente del MSI che in vita sua non ha mai cambiato moglie, dissi subito che quella del divorzio era una trappola non solo perché avremmo perso, ma perché ci faceva apparire un partito non moderno», spiegò a Paolo Mieli); o, dopo, con altri, come Enzo Fragalà (morto assassinato) quale componente della commissione Stragi che sentì il leader radicale sulla morte di Aldo Moro e altri dossier oscuri della nostra storia recente. Ma, proprio tra Almirante e Pannella – “seduttori di alto rango”, li definì Massimo Teodori – c’era confidenza, un rapporto umano vero, talvolta un gioco di squadra contro ciò che i due, con linguaggio convergente, chiamavano “il regime”. Il segretario missino, emarginato in forza della formula demitiana dell'”arco costituzionale”, ruppe più volte l’isolamento duettando con lui, “chiamandolo” nei propri spazi televisivi elettorali. Solo Craxi ebbe, più tardi, lo stesso coraggio di rompere la “conventio ad excludendum”. E, comunque, un filo lega la destra – un mondo apparentemente lontanissimo da ideali e valori di Pannella e del suo partito – al leader radicale. Per cui – oltre la memoria di una personalità che ha segnato il Novecento politico italiano e da cui è difficile scindere le consuete omissioni e ipocrisie post- mortem – è giusto e più rispettoso chiedersi: cosa deve la destra politica italiana a Marco Pannella?
Certamente lui – e lo fece coerentemente in tutta la sua vita – diede un’interpretazione dell’antifascismo che fu originale, duramente anticonformista, spiazzante per chi ne faceva un uso spregiudicato, discriminatorio: una lettura che di fatto liberava la destra dai fantasmi della guerra civile, aiutandola a fuoruscire da un lato dalla ghettizzazione e dall’altro dal “neofascismo”. Era una lettura omologa a quella che ne dava Pier Paolo Pasolini; per la verità, lo scrittore la sopravanzava e la portava a una dimensione paradossalmente più radicale, con gli strumenti che sono propri a un poeta rispetto al politico che Pannella comunque era.

Pannella e Pasolini contro il “fascismo dell’antifascismo”

“Siete, sei «antifascista», antifascista della linea Parri-Sofri, lungo la quale si snoda da vent’anni la litania della gente-bene della nostra politica. Noi non lo siamo”, ha scritto Pannella, tra le sue poche pagine organiche che proprio Pasolini definì un manifesto della politica radicale: la prefazione al libro “Underground a pugno chiuso!” di Andrea Valcarenghi (Arcana, 1973). E, rivolgendosi all’autore del libro, fondatore della rivista “Re Nudo”, Pannella mise su carta la sua visione bruciante:”… come puoi non comprendere il fascismo di questo antifascismo? Come puoi, ancora, sopportare l’inadeguatezza dell’ingiuria, dell’insulto, del disprezzo, del manicheismo dozzinale, classista, non laico, fariseo… dove sono mai i “fascisti” se non al potere ed al governo? Sono i Moro, i Fanfani, i Rumor, i Colombo, i Pastore, i Gronchi, i Segni e – perché no? – i Tanassi, i Cariglia, e magari i Saragat, i La Malfa. Contro la politica di costoro, lo capisco, si può e si deve essere ‘antifascisti’, cioè ‘antidemocristiani’. Noi radicali lo siamo… Quanto di sdegno, d’istinto, possiamo avere non può che essere pienamente indirizzato contro i successori reali, storici, del fascismo dello Stato. Invece, sotto la bandiera antifascista, si prosegue una tragica operazione di digressione. Come se, negli anni in cui il fascismo si affermava, si fossero mobilitate le energie democratiche e popolari innanzitutto contro i Dumini e gli altri assassini materiali di Matteotti, dei Rosselli, degli antifascisti; o se pensassimo davvero – scrisse ancora Pannella – che fu “fascismo” quello dei ragazzi ventenni che casualmente e ‘stupidamente’ indirizzarono la loro generosità e la loro sete di sacrificio verso la Repubblica Sociale, divenendo poi ‘oggettivamente’ sicari dei tedeschi e dei nazisti, assassini e torturatori. Scatenando, rilanciando la caccia contro gli Almirante e gli altri ausiliari di classe, di chiesa, di Stato, facendone i demoni, dando loro dignità di ‘male’, dirottando sdegno, rabbia, rivolta, contro di loro, servite oggettivamente il potere, il fascismo, quali oggi concretamente vivono e prosperano nel nostro paese.
In tutta questa vostra storia antifascista non so dove sia il guasto maggiore: se nel recupero e nella maledizione d’una cultura violenta, antilaica, clericale, classista, terroristica e barbara per cui l’avversario deve essere ucciso o esorcizzato come il demonio, come incarnazione del male; o se – continuò il leader radicale -nell’indiretto, immenso servizio pratico che rende allo Stato d’oggi ed ai suoi padroni, scaricando sui loro sicari e su altre loro vittime la forza libertaria, democratica, alternativa e socialista dell’antifascismo vero. Il fascismo è cosa più grave, seria e importante, con cui non di rado abbiamo un rapporto di intimità. Altro che roba da “vietare” con la legge Scelba (serve a ‘sciogliere’ la DC?), da reprimere con qualche denuncia a qualche carabiniere, per legittimare meglio la funzione antioperaia, o da linciare a furor di popolo – antifascista! Il rapporto fra fascismo-capitalismo e sinistra è complesso, allarmante, incombente, presente, ambiguo, da oltre cinquant’anni, 1973 compreso”.

Una lettura urticante

Una lettura del “fascismo dell’antifascismo” urticante, inaccettabile per la sinistra che, infatti, non amò Pannella per queste idee così fuori dagli schemi, così di rottura, così “offensive” di storia e soprattutto narrazione di se stesso che faceva il mondo comunista. Ma era la stessa analisi che faceva il suo amico Pasolini il quale, anzi, andava oltre. Anche nei suoi confronti la destra – che non lo capì in vita e lo maltrattò rozzamente, cominciò a comprenderlo e apprezzarlo “dopo” – ha un debito morale e politico. Per lo scrittore infatti era già superata la fase di “quando il regime democristiano era ancora la pura e semplice continuazione del regime fascista”, scrisse in un celebre articolo, noto come l'”articolo delle lucciole” (Corriere della Sera, 1 febbraio 1975, “Il vuoto del potere”). Questo per lui valeva prima di quella che, appunto, definì “la scomparsa delle lucciole”: un’immagine metaforica con cui indicò la fine dell’Italia agricola e l’irruzione del modello di sviluppo industriale e consumistico odierno. PPP vide “il comportamento coatto del potere dei consumi ricreare e deformare la coscienza del popolo italiano, fino a una irreversibile degradazione. Cosa che – proseguiva l’articolo – non era accaduta durante il fascismo fascista, periodo in cui il comportamento era completamente dissociato dalla coscienza. Vanamente il potere ‘totalitario’ iterava e reiterava le sue imposizioni comportamentistiche: la coscienza non ne era implicata. I ‘modelli’ fascisti non erano che maschere, da mettere e levare”. Il che spiegava perché, secondo lui, il “regime” – come lo chiamavano, con una condivisione non solo lessicale, Pannella e Almirante – mise in campo le “cose orribili che sono state, organizzate dal ’69 ad oggi, nel tentativo, finora formalmente riuscito, di conservare comunque il potere”.

I diritti civili: assonanze a destra su divorzio e pena di morte

Così, Pannella e Pasolini tolsero senso culturale e legittimazione morale all’antifascismo politico. E aprirono lo spioncino su certi meccanismi inconfessabili del Partito-Stato. Da ricordare che siamo negli anni ’70. Il 18 febbraio 1972 a Milano, viene formalizzata l’istruttoria a carico di Giorgio Almirante e dei componenti della direzione nazionale del Movimento sociale italiano per “tentata ricostituzione del Pnf” e il 4 marzo è tratto in arresto Pino Rauti coinvolto nella strage di Piazza Fontana (ne uscirà prosciolto). Il 7 giugno 1972, il procuratore generale di Milano, Luigi Bianchi D’Espinosa invia alla Camera dei deputati la richiesta di autorizzazione a procedere contro Giorgio Almirante. Il 10 gennaio 1972 aveva detto: “Il nostro sistema giudiziario impone a qualsiasi magistrato di operare in maniera antifascista. Non per libera scelta ideologica ma per dovere di lealtà al giuramento”. Ma il proposito di sciogliere un partito votato da tre milioni di italiani fallì e in questo giocò un ruolo il clima che le avanguardie politiche e culturali rappresentate da Pannella e Pasolini crearono additando il “vero fascismo”, quello del partito-Stato: la Democrazia Cristiana. L’episodio più noto – il leader radicale come primo segretario di partito che va a un congresso missino, il 20 febbraio 1982, applauditissimo dai delegati – per Pannella fu un atto di coerenza che Almirante, temendo un eccesso di empatia – questo era diventato il problema ! – arginò con quell’artificioso “il fascismo è qui”, che replicava al pannelliano ” il fascismo è fuori”.
In continuità con tale impostazione, Pannella trovò interlocutori a destra in tutte le sue battaglie. Sul divorzio Almirante, pur essendo “divorzista”, schierò il partito contro la legge Baslini-Fortuna e nel referendum del 1974 venne sconfitto insieme a Fanfani e alle gerarchie cattoliche che si erano mobilitate. Aveva ragione Pino Romualdi che si battè perché non lo facesse. Pannella e Romualdi, ambedue deputati europei, si incontravano regolarmente, si scambiavano opinioni. Il deputato missino Clemente Manco, “romualdiano”, aveva votato, in commissione Giustizia, a favore della legge. Al referendum, si calcolò che almeno un terzo degli elettori del Msi votò contro l’abrogazione della legge che aveva introdotto il divorzio. Pannella li ringraziò pubblicamente. Anche se attraverso correnti minoritarie, la destra post-fascista si avvicinava ai diritti civili: Pannella favorì – non solo per interesse politico della sua parte – l’evoluzione di quel mondo con cui discuteva, si confrontava, aveva il coraggio di “difendere” dal suo punto di vista. Anche sulla pena di morte – cavallo di battaglia almirantiano per dare forza a un’immagine di destra “legge e ordine” – aree consistenti del Msi la pensavano come Pannella. Era contraria la maggior parte dei giovani legati a Pino Rauti la cui corrente – era il 1980 – si dissociò pubblicamente dalla campagna che Almirante lanciò con una petizione popolare che venne disconosciuta dalla base giovanile missina. Era anche contrario Pino Romualdi, ex vice di Pavolini nel Partito fascista repubblicano; lui era conosceva da vicino la materia: dopo l’8 settembre del 1943 era stato condannato a morte. “Avevo un rapporto di grande amicizia con Pino Romualdi. Mi ricordo di averlo visto da Giolitti, di aver parlato con lui perché era contrario alla pena di morte. Egli era parlamentare europeo, abbiamo continuato a vederci. Bene o male ha condiviso le altre battaglie che continuavamo a fare sulla pena di morte, anche quelle sulla legge Reale e altre, sulle quali si era pronunciato molto nettamente”, ebbe modo di ricordare il leader radicale. Il quale aveva esatta cognizione della geografia interna del Msi, anche grazie alle antenne di Radio Radicale: “Fini, al contrario di Pino Romualdi e di Pino Rauti, è per la pena di morte”, rimproverò a Berlusconi che aveva appena fatto il famoso endorsement in favore del leader della nascitura An contro Rutelli per l’elezione a sindaco di Roma. Era il 1993.
“La nuova risoluzione delle Nazioni Unite contro la pena di morte è di straordinario valore sia politico che simbolico perchè il diritto alla vita è il primo dei diritti umani”, dichiarerà Isabella Rauti, consigliere regionale del Pdl e figlia di Pino, anni dopo. Un’evoluzione che si consacrerà nel dopo-Almirante con la nascita di Alleanza Nazionale. Andrea Ronchi, ministro finiano delle Politiche Europee, si impegnerà particolarmente su questo tema posizioni molto nette. “Desidero esprimere la nostra profonda costernazione per le notizie che giungono dal suo Paese relativamente all’applicazione sempre più frequente della pena di morte. Tali azioni non favoriscono il dialogo tra i nostri paesi”, scriverà l’11 ottobre del 2009 all’Ambasciatore iraniano a Roma.

Contestazione e ’68: Radicali e PPP come Evola e Romualdi

Anche della contestazione giovanile e del ’68 Marco Pannella ebbe un’opinione “contro”, non dissimile da quella ufficiale e maggioritaria – in tutte le espressioni, almirantiana, romualdiana (più di Adriano) e rautiana – in voga a destra (dove però ci furono fasce di giovani “contestatori” che solidarizzarono con i loro coetanei) e coincidente in buona parte con l’interpretazione che ne diede Pasolini. Le assonanze erano significative.”Io e i miei compagni, soprattutto, abbiamo vissuto il Sessantotto in un modo assolutamente negativo e ben presto ostile, con un’ostilità ricambiata”, ha detto Pannella. “Ancora adesso sono convinto che il Sessantotto, in parte quello europeo, sicuramente quello italiano, è assolutamente sopravvalutato. Lo è la sua effettiva incidenza nella sua stessa generazione. Sono convinto – questo il suo giudizio – che echi del Sessantotto sono stati molto più nei nonni dannunziani e nei padri postdannunziani che effettivamente nei coetanei. Si ricorda Pasolini; ma noi immediatamente eravamo schierati sulle sue stesse posizioni”.
Già, Pasolini: “Avete facce di figli di papà. Vi odio come odio i vostri papà. Buona razza non mente. Avete lo stesso occhio cattivo. Siete pavidi, incerti, disperati
(benissimo!) ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati: prerogative piccolo-borghesi, cari. Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti, io simpatizzavo coi poliziotti. Perché i poliziotti sono figli di poveri… “(L’Espresso 16 giugno 1968 – P.P. Pasolini, “Il Pci ai giovani”).
Che differenza c’è con l’ analisi che della contestazione fece Adriano Romualdi, giovane e lucido intellettuale di destra, figlio di Pino ?
“Gli occupanti pretendono di lottare contro la società – scrisse Adriano – ma i loro miti, il loro costume, il loro conformismo sono precisamente quelli di questa società contro cui dicono di battersi. Dicono di essere contro lo stato, e la televisione di stato gli adula e li vezzeggia, dicono d’ essere contro il governo, e i socialisti al governo li proteggono, dicono di costituire un’alternativa ai tempi, ma le loro chiome, gli abiti, gli atteggiamenti, i loro folk-songs, le loro donnine beat, sono quanto di più consono allo spirito dei tempi si possa immaginare. Si atteggiano ad ‘antiamericani’, ma sono marci di americanismo fino al midollo: le loro giacche, i loro calzoni, i loro berretti, sono quelli dei beatniks di San Francisco, il loro profeta è Allen Ginsberg, la loro bandiera la LSD, il loro folk-songs quelli dei negri del Mississipi, la loro patria spirituale il Greewich-Village. Sono marxisti, ma non alla maniera barbarica dei russi o dei cinesi, ma in quella particolare maniera in cui è marxista un certo tipo di giovane americano frollo di civiltà. Proclamano il “collegamento con la classe operaia” , la “giuntura tra la semantica della rivendicazione studentesca e la dialettica del mondo operaio” , ma nulla più del loro snobismo è remoto dall’animo dei veri operai e contadini, nessuno più di questi pulcini usciti dall’uovo d’una borghesia marcia è lontano dalla mentalità di chi deve lottare con le più elementari esigenze. Il loro problema – secondo Romualdi – è la droga; quello degli operai il pane…È piuttosto la sommossa d’una minoranza d’intellettuali da salotto, di giovani e ricchi borghesi che rompon la noia di un’esistenza troppo facile giocando ai cinesi o ai castristi. Le roccaforti della rivolta studentesca sono state proprio le facoltà snob, come la facoltà di architettura di Roma dove- di fronte ai muri su cui era scritto “guerriglia cittadina” – stazionavano in doppia fila le eleganti auto sportive degli occupanti” (A.Romualdi, “Contestazione Controluce”).
E in cosa diverge la visione di Pannella (e Pasolini) da quella, del pensiero “tradizionale” di Julius Evola – l’uomo che con i suoi libri ha influenzato intere generazioni a destra – quando sostiene che “le correnti contestatarie sono più o meno direttamente influenzate dalle ideologie di Sinistra, tanto da essere facilmente strumentalizzate dal marxismo. Oppure si tratta solo di un anarchismo disordinato, senza fondo, con insofferenza per ogni autodisciplina…D`altra parte, se il discorso cade sull’anticonformismo e sul rigetto del cosiddetto sistema borghese – nota Evola – assai di frequente ho potuto rilevare, nei giovani, una singolare incongruenza: mentre insistono sul piano politico e ideale in un atteggiamento rivoluzionario, troppo spesso, esistenzialmente, nella vita pratica individuale, essi finiscono col soggiacere in modo desolante alle routines dell’aborrita vita borghese (per fare un esempio: sposandosi, accasandosi tranquillamente, prolificando), trovandosi con ciò ancor più nella necessità di ‘sistemarsi’ nell’attuale società, e via dicendo. (Intervista di Gianfranco de Turris, “La vera contestazione» è a Destra: L’uomo di vetta – Sette domande a Julius Evola “- Il Conciliatore n. 1, Milano, 15 gennaio 1970).

Anni di piombo e stragi: Sciascia elogia la destra antimafia

Anche sullo “stragismo” l’idea di Pannella convergeva con quella della destra: la comune visione della strategia della tensione, alimentata col sangue di “rossi” e “neri” che fu organizzata da apparati dello Stato e servizi segreti deviati per conservare il potere alla Dc è tesi sulla quale insistette sempre Beppe Niccolai; il quale denunciò, carte alla mano, clima e vicende che provavano che le stragi erano stragi di Stato e che l’uccisione di ragazzi di destra e di sinistra (ma ci fu anche la morte della militante radicale Giorgiana Masi) era il cemento con cui il sistema conservava se stesso. Posizioni concordanti anche sui misteri della Repubblica, dal caso Moro – di cui si occupò, da deputato radicale, Leonardo Sciascia – alla P2, alla morte del generale Mino: vicenda quest’ultima, seguita particolarmente per An dall’ on. Fragalà. Non è un caso che Gianni Alemanno, riferendosi agli “anni di piombo”, abbia onorato il leader radicale come “uno dei pochi veri e leali interlocutori, da opposta barricata politica, della destra. Nessuno di noi si puó dimenticare quando Marco Pannella, sia pur rimanendo un nostro avversario politico, si schierava in difesa dei nostri giovani militanti discriminati e perseguitati negli anni 70 e negli anni 80. Quando per quasi tutto il mondo della sinistra valeva lo slogan ‘uccidere un fascista non è un reato’, per Marco Pannella ogni diritto negato ai militanti di destra era un’offesa per tutta la nostra società contro cui ha sempre avuto la voglia e il coraggio di ribellarsi”. E lo stesso Sciascia – che di Pannella, oltre che parlamentare radicale, fu amico personale dopo la sua scomunica a sinistra – il 26 febbraio 1980 disse alla Camera:”…non voglio dire con questo i lavori della Commissione antimafia siano stati del tutto inutili; anzi, poco fa mi è stato chiesto di riconoscere quello che avevo detto alla televisione francese, cioè che la relazione di minoranza dell’onorevole Giuseppe Niccolai è una cosa molto seria; l’ho detto alla televisione francese, perché me lo hanno chiesto. Se me lo avesse chiesto la televisione italiana lo avrei detto egualmente: non esito a ribadirlo qui, davanti alla Camera dei Deputati”. Un riconoscimento coraggioso dell’autore de “Il giorno della civetta” al lavoro svolto in Antimafia dal Msi il quale denunciò, senza guardare in faccia nessuno, quando e come la mafia si faceva Stato.

Maggioritario o proporzionale ? Aveva ragione lui

Pannella fu, inoltre, un sostenitore del maggioritario secco: in questo senso il Partito radicale promosse un referendum abrogativo per l’abolizione del voto di lista per l’attribuzione con metodo proporzionale del 25% dei seggi alla Camera. La consultazione si tenne il 18 aprile 1999, ma il quorum fu mancato per pochissimo: andò a votare il 49,7% degli elettori che si espressero nettamente per il “sì” (91%). In quella circostanza An, guidata da Fini, si schierò a favore del referendum radicale, Berlusconi contro. Un approdo al quale la destra giunse dopo una lunga storia “proporzionalista” mantenuta fino all’approvazione nel ’93 del Mattarellum, la legge elettorale che prevedeva il maggioritario a turno unico per la ripartizione del 75% dei seggi in Parlamento. La destra aveva votato contro la nuova legge elettorale, alla vigilia della nascita di An e della vittoria del Polo delle Libertà (1994): a causa di quella legge, Fini e la sua classe dirigente temevano che il loro partito sparisse. La battaglia politica contro la legge elettorale maggioritaria è ”la piu’ grande del dopoguerra. E’ la battaglia per la verità’ contro la mistificazione – affermò Fini – che tende a salvare il sistema dall’uragano della questione morale, permettendogli di passare al secondo tempo della prima Repubblica che deve essere invece superata sciogliendo il parlamento e consentendo agli italiani di eleggere una assemblea costituente per rifondare lo stato e le istituzioni”. Un’analisi sbagliata: il maggioritario, costringendo gli elettori a schierarsi “o di qua o di là” invece fece estinguere il centro politico e introdusse il bipolarismo nel paese. Aveva ragione Pannella: il maggioritario – anche se non secco – aveva dato una spinta decisiva alla nascita della destra di governo. Inquietudine nietzscheana: lo Stato è un mostro freddo ?
Una destra che dalle idee di “Giacinto detto Marco” e del suo mondo radicale resta lontana su tante questioni: dalla bioetica (aborto, eutanasia), a “legge e ordine” (amnistia, indulto, applicazione della pena, ergastolo, giudici, forze dell’ordine, FFAA, etc); dalla disciplina delle tossicodipendenze, alla visione fortemente liberista del mercato.

Chissà se Marco Pannella ha studiato Nietzsche

Ma resta un debito culturale, morale e politico – con delle reciprocità come sempre accade in politica – che la destra italiana non può non riconoscere a uno degli ultimi Grandi della nostra storia politica.E alla destra – di cui lo Stato è valore-cardine e che è tuttora fedele a una visione etica, hegeliana – egli lascia anche un dubbio, il richiamo a una sensibilità “altra”, che della “rive droit” è parimenti pensiero e visione; e su cui la cultura di destra, e le forme politiche che la inverano, si dovranno interrogare, nello sforzo di superare e superarsi per non perdere il divenire della contemporaneità. Quella di colui che lasciò scritto: «Lo Stato? E che cos’è? Ebbene, ora apritemi bene le orecchie, perché ora vi dico la mia parola sulla morte dei popoli. “Stato” si chiama il piú freddo di tutti i mostri freddi. Freddamente anche esso mente; e dalla sua bocca striscia fuori questa menzogna: “Io, lo Stato, sono il popolo”. Menzogna, è! […] Dove c’è ancora popolo, esso non capisce lo Stato, e l’odia come sguardo malvagio e peccato contro i costumi e i diritti. Vi do questo segno: ogni popolo parla una sua lingua del bene e del male; e questa il vicino non la capisce. Esso s’è inventato la sua lingua nei costumi e nei diritti. Invece lo Stato mente in tutte le lingue del bene e del male; e qualunque cosa dica, mente — e qualunque cosa abbia, l’ha rubata. Tutto in esso è falso; morde con denti rubati, il mordace. False son perfino le sue viscere. Confusione delle lingue del bene e del male: questo è il segno che vi do come segno dello Stato. In verità, questo segno interpreta la volontà di morte! In verità, esso fa cenno ai predicatori di morte! […] “Sulla terra non c’è niente piú grande di me: io sono il dito ordinatore di Dio” — cosí muggisce il mostro. E non solo orecchiuti e miopi cadono in ginocchio! Ahimè, anche in voi, magnanimi, esso sussurra le sue fosche menzogne! […] “Stato” chiamo io il luogo in cui tutti bevono veleno, buoni e cattivi; “Stato” il luogo in cui tutti si perdono, buoni e cattivi; “Stato” il luogo in cui il lento suicidio di tutti si chiama “vita”. […] Guardate come s’arrampicano, queste svelte scimmie! S’arrampicano gli uni sugli altri, e si trascinano nel fango e nella bassezza. Vogliono tutti arrivare al trono: è la loro follia — come se la felicità sedesse in trono! Spesso sul trono siede il fango — e spesso anche il trono sul fango. Per me sono tutti dementi, scimmie arrampicatrici e spiriti sovreccitati. Il loro idolo è per me maleodorante, il freddo mostro: tutti quanti sono per me maleodoranti, questi idolatri. Fratelli, volete dunque soffocare nelle esalazioni dei loro musi e delle loro brame? Ma piuttosto frantumate le finestre e saltare fuori all’aperto! […] Scansate il cattivo odore! Allontanatevi dalle esalazioni di questi sacrifici umani! La terra è ancora libera per i magnanimi. […] Solo dove finisce lo Stato comincia l’uomo che non è superfluo: lí comincia il canto della necessità, melodia unica e insostituibile. Laddove finisce lo Stato — guardate, guardate, fratelli! Non lo vedete, l’arcobaleno, e i ponti dell’oltreuomo? — Cosí parlò Zarathustra.» (F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi). Chissà se Marco Pannella ha studiato Nietzsche.

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