L’analisi – “Caso Pizzarotti”: M5S, il quasi-partito che nessuno può scalare

18 Mag 2016 15:05 - di Carmelo Briguglio

Il “caso Pizzarotti” che segue il “caso Logarini”, che segue il “caso Capuozzo”: la crisi dei sindaci grillini diventa seriale e scuote il dibattito politico a ridosso delle elezioni amministrative. Intendiamoci: la sospensione del sindaco di Parma da parte dei Cinquestelle è la rappresentazione di uno scontro tipico nei luoghi della politica. E prova che, nel bene e nel male, il nuovissimo M5S, è attraversato da fenomeni usuali nella lotta per il potere, come accade in una qualunque forma-partito. Dove le personalità interne si combattono, le maggioranze limitano e prevaricano le minoranze e quest’ultime contestano, si organizzano, ricorrono ai media e, per lo più, nel tempo della nuova politica – a differenza della vecchia, quando potevano avere un proprio spazio e restare – fuoriescono: per esclusione, per scelta o perché costrette a farlo. Con la constatazione che tanto più i partiti sono “personali” – e il movimento di Grillo lo è, come lo è stato anche il Pdl, lo è Forza Italia, lo è a metà il Pd renziano – tanto più che le espulsioni non premiano le vittime: è accaduto anche ai grillini radiati con votazioni sommarie di giurie web-popolari, controllate dalla Casaleggio Associati. Vedremo come finirà, nel dopo-Casaleggio e nel non ancora dopo-Grillo, il “caso Pizzarotti”, la cui punizione – lo ha spiegato bene un giornalista specializzato in cose pentastellate qual è Iacopo Iacoboni della Stampa – è stata voluta e decisa dal direttorio e soprattutto dal suo uomo forte, Luigi Di Maio: Grillo e Casaleggio jr hanno solo ratificato.

Sindaco-Spartacus contro centralismo messianico

I più scommettono che Pizzarotti venderà cara la pelle, ma finirà per soccombere. In questo caso, la sua esclusione apparirà chiaramente la cacciata di uno che ha tentato una deviazione dal canone, di fare la voce fuori dal coro, esternando dissenso ogniqualvolta ha potuto farlo. Un oppositore interno che ha cercato un ruolo alternativo, una sorta di Spartacus degli amministratori grillini, molti dei quali sono poco noti, “invisibili”, ma sostanziano un’anima “non romana” che – giura Pizzarotti – esiste nel suo quasi-partito; ma che, per la verità, finora si è vista solo quando sono scoppiate vicende giudiziarie, come a Quarto e Livorno, e oggi a Parma. Il cui primo cittadino ha immaginato – a quanto pare senza successo – di creare, dentro il movimento, un contropotere, prima prudente nei confronti dei due fondatori e poi palese quando è nato il direttorio, nel quale sarebbe stata naturale la cooptazione di una figura simbolica qual è il sindaco della prima città importante conquistata dal M5S, il che non è stato; fino alla sospensione e alla sfida lanciata dallo stesso Pizzarotti di una discussione in streaming con i parlamentari: richiesta, com’era prevedibile, respinta dal vertice grillino.
Il problema è che il sindaco non ha valutato che nei Cinquestelle vige un centralismo politico messianico – molto più chiuso e ferreo del centralismo democratico del fu Pci – proteso esclusivamente alla conquista del governo nazionale: il governo delle città e dei comuni è vissuto come un impedimento, un fastidio da evitare o almeno contenere; un ostacolo alla piccola marcia che li può portare a Palazzo Chigi.

La superiorità morale è passata dalla sinistra ai grillini: via il “mascariato”

La possibilità concreta che la loro Virginia Raggi – in testa ai sondaggi – possa diventare il sindaco di Roma, viene vissuta dai capi del M5S più con preoccupazione che con entusiasmo. In quest’ottica i sindaci e le amministrazioni – nel cui quotidiano è normale ci siano successi e realizzazioni, miste a defaillance, attacchi dell’opposizione, esposti alla magistratura e possibili avvisi di garanzia – sono sofferti da Grillo e dai suoi come tallone di Achille che i “nemici” possono colpire: dopo avere rubato alla sinistra la pietra filosofale della superiorità morale e costruito su di essa la loro “diversità” da tutti i “vecchi” attori della politica italiana, adesso temono di perderla, a causa di indagini giudiziarie, anche per reati “minori” e per ipotesi accusatorie tutte da vagliare.
E, a ben pensare, l’ossessione moralistica del M5S va oltre quella che fu della sinistra; adesso è anche fuoco purificatore del dissenso interno: il “caso Pizzarotti”, fa compiere ai 5 Stelle questo salto di qualità, se di qualità si può parlare. Perché, allora, tollerare ancora la presenza, politica e mediatica, di un sindaco con ambizioni da leader, a maggior ragione in un movimento nato come antiparlamentare, governato paradossalmente da un cerchio magico rigorosamente parlamentare che il reprobo da sempre osa criticare ? Come lasciarsi sfuggire l’opportunità di toglierlo di mezzo, ora che è indagato e “avvisato”? Non ha importanza perché e per cosa, a causa di chi, foss’anche ad opera degli odiati piddini: è “mascariato”. È sufficiente, anzi è ciò che ci voleva per metterlo fuori. Finalmente.
Altrove, Pizzarotti sarebbe emarginato e messo nell’angolo; ma potrebbe mettere su e guidare una opposizione interna organizzata, aspettando un congresso per provare a scalare il partito, come è accaduto nel grande Pd e nella piccola Udc. Nei Cinquestelle é impossibile inverare quest’ultimo scenario: il sindaco è stato sospeso con un atto burocratico, dalle motivazioni fragili e giacobine, qual è il non avere reso noto un avviso di garanzia notificatogli dall’Autorità giudiziaria per le nomine del teatro Regio; una coercizione fuori misura, che si spiega solo come primo step nel disegno liquidatorio di uno scomodo concorrente interno.

Partito mascherato da non- partito: leader a vita e proprietari dinastici

Ma anche questo è accaduto e accade nei partiti “normali”. Dai quali il semi-partito grillino si differenzia in peggio. Soprattutto per un dato insuperabile che è il suo male oscuro, eppure così in chiaro: nessuno può scalare il M5S, non c’è stato e non è previsto un Congresso che elegga leader e dirigenti e dia regole scritte in uno statuto; i fondatori sono proprietari del simbolo, del blog e della “teknè”: padroni assoluti, leader a vita. E oltre, come dimostra la successione dinastica da Gianroberto Casaleggio al figlio Davide. Il direttorio, svolge la funzione di “cerchio magico”, dipendente in toto, ma in grado di influenzare la proprietà in mano a Grillo e Casaleggio Associati.
È in questa cornice di “ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi” – per dirla con Roy Batty (Rutger Hauer) in “Blade Runner” – che non deve meravigliare più di tanto l’ostracismo verso Pizzarotti. E nemmeno l’emendamento pentastellato alla legge sui partiti diretto ad abrogare qualunque riferimento alla democrazia interna. È la logica di un partito mascherato da non partito. Che, ciononostante – o forse per questo – oggi rappresenta più di un quarto degli italiani.

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *