Un ex gauchiste si pente e racconta in un libro l’inferno rosso di Stalin

24 Mag 2016 15:43 - di Marco Valle

La scrittura talvolta può essere terapeutica, liberatoria. Un libro può servire a chiudere un capitolo della propria vita, a riconoscere errori e sviste clamorose. A chiedere scusa a tutti coloro che hai ingannato con le tue allucinazioni. È il caso di Olivier Rolin, uno degli antichi capofila della «sinistra proletaria» francese, un ex gauchiste “duro e puro” del marxismo in salsa transalpina. Da anni Rolin ha chiuso con i gruppetti rossi e la politica, ma i suoi incubi giovanili non hanno smesso d’angosciarlo, di tormentarlo. Infine ha scritto un libro bello e potente, il Meteorologo, la crudele storia di Aleksej Feodos’evich Vangengejm, uno scienziato geniale, fondatore del Servizio idrometeorologico dell’Urss e, al tempo stesso, una delle tante vittime delle purghe staliniane, la grande mattanza rossa.

Il caso dell’ex gauchiste Olivier Rolin

Punto di partenza, le lettere alla figlia Eleonora (divenuta una famosa paleontologa, si suiciderà a tarda età nel giorno della ricorrenza dell’arresto del padre) ritrovate dallo scrittore nella biblioteca del gulag dove Vangengejm fu rinchiuso. Attraverso le missive sempre più cupe e angosciate — «il mio nome scomparirà senza lasciare traccia» — si comprende la tragedia un uomo disperato, inghiottito e divorato da un meccanismo infernale, criminale. Arrestato l’8 gennaio 1934 con l’accusa d’essere “un sabotatore e una spia”, Vangengejm provò a resistere, poi sotto tortura ammise ogni accusa, anche la più folle. Condannato a dieci anni di lavori forzati, con il suo bagaglio che consisteva in un fazzoletto fu spedito nel campo di lavoro da cui sperava di tornare nel 1944. Ma dopo tre anni di sofferenze in una cella senza cibo, torturato dal gelo e dalla fatica, sparì nel nulla. Il suo nome e le sue idee furono depennate da tutte le pubblicazioni scientifiche. Soltanto negli anni Novanta la figlia conoscerà la sorte di suo padre: bastonato, portato nudo in un bosco e fucilato. Il destino dei “nemici del popolo”.

Ma qual era la colpa di Vangengejm? In primis, quella d’essere un “borghese comunista”, figlio di nobili e fratello di un esule zarista. Dunque un personaggio sospetto, nonostante la sua tessera e il suo zelo per i soviet. Come aggravante vi erano le sue intuizioni scientifiche, proposte troppo avveniristiche per gli anni Trenta. Vangengejm aveva progettato di fornire l’energia elettrica non secondo i metodi più tradizionali ma con una foresta di pale eoliche che andasse dallo stretto di Bering e dalla Kamchatka fino alle coste del Mar Nero. «Nel 1934 – scriveva dal carcere – avrei dovuto concludere il primo atlante della distribuzione dell’energia dei venti in Urss. Sarà sicuramente pubblicato. E così sarà per il catasto del sole… Ben presto i vasti territori dell’Unione Sovietica saranno elettrificati dall’energia del vento. Senza di me, però». Non si sbagliava: mentre redigeva queste righe era diventato il detenuto 34776, numero che accompagnava la sua foto segnaletica nel carcere «a regime speciale» delle isole Solovki, il primo gulag comunista installato nella desolazione dell’Artico.

Ad incattivire ancor più la polizia politica vi erano poi le invidie dei colleghi — che lo denunciarono subito come “controrivoluzionario” — , la pubblicazione di un saggio di uno studioso norvegese che, sostenendo una teoria innovativa sulle depressioni atmosferiche, non aveva citato il “sommo”pensiero di Lenin e Stalin. Ma soprattutto vi era la necessità, da parte di Stalin in persona, di scaricare i disastri della collettivizzazione forzata (carestie e fame) su un capro espiatorio. Il capo del servizio idrometerologico era perfetto allo scopo.

“Il Meteorologo” è un omaggio a Vangengejm e un doloroso tributo ai milioni di vittime del terrorismo di stato sovietico. Ma non solo. Con il suo libro Rolin — non causualmente oscillante fra la terza persona e la prima — chiude definitivamente i conti con il suo passato e sbugiarda quella “promessa morta” che ha illuso parte della sua generazione e tutti coloro che nel Novecento hanno chiuso gli occhi e volutamente ignorato «la storia atroce di ciò che fu il socialismo reale».  A volte un libro può diventare un atto di coraggio.

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