Coniugi uccisi a Palagonia, la rabbia della figlia: lo Stato ci ha abbandonato

23 Mag 2016 12:56 - di Ginevra Sorrentino

È alla sbarra l”ivoriano Mamadou Kamara, accusato di avere ucciso il 30 agosto 2015 nella loro villa di Palagonia, il sessantottenne Vincenzo Solano, e sua moglie, Mercedes Ibanez, che sarebbe anche stata violentata prima dell’omicidio. E il Viminale responsabile civile nel processo davanti la Corte d’assise di Catania al diciottenne ivoriano accusato del duplice omicidio: è la richiesta depositata dal legale delle due figlie delle vittime, l’avvocato Francesco Manduca, nel processo all’immigrato cominciato in mattinata.

Duplice delitto di Palagonia, il Viminale responsabile civile al processo?

Secondo il penalista, infatti, il ministero dell’Interno avrebbe “culpa in vigilando”: era responsabile dell’imputato che si è allontanato nelle ore notturne dal Cara di Mineo, cosa che è vietato fare, e la mattina dopo è rientrato nel Centro di accoglienza richiedenti asilo dopo avere trucidato la coppia. Come se niente fosse. Senza incrociare la minima difficoltà di controllo. Il Viminale, allora, a detta del legale che ha appena depositato la richiesta, avrebbe dovuto vigilare e non lo ha fatto nel modo giusto. E non c’è solo il Viminale nel mirino del legale della famiglia delle vittime: «È arrivato il momento di avere una giustizia certa, esemplare e giusta, vogliamo una pena esemplare e sicura», ha dichiarato senza giri di parole e tradendo ancora non poca commozione e molta rabbia Rosita Solano, una delle due figlie della coppia di Palagonia appena prima dell’inizio del processo all’imputato del duplice omicidio. Imputato che in Aula è restato dietro le sbarre.

Coniugi uccisi a Palagonia, la figlia: «Amareggiata» dall’assenza dello Stato

Un appello alla certezza della pena e all’incisività penale della sentenza che arriverà, attravero il quale la donna, che è parte civile nel procedimento cominciato oggi davanti la Corte d’assise di Catania, ha espresso anche «piena fiducia nella magistratura». Non altrettanto ha potuto dire a proposito delle istituzioni dello Stato che, ha lamentato la figlia delle vittime, Rosita Solano, non ha più visto o sentito dal giorno della celebrazione funebre della madre e del padre. Per questo la donna, che si è sentita abbandonata dallo Stato, sola ad affrontare un dolore e un torto che impegherà una vita a metabolizzare e ad accettare, si è detta «amareggiata» dalle istituzioni «che dal giorno dei funerali dei miei genitori non si sono fatti più sentire. Noi vogliamo soltanto la verità – ha chiosato infine la Solano – tanto i miei genitori non torneranno mai più». Ma il senso di una sentenza certa e giusta, così come una dimostrazione di vicinanza e di sostegno dalle parte della autorità istituzionali ai parenti delle vittime di una violenza come quella di Palagonia, potranno essere – o avrebbero potuto essere – una dimostrazione simbolica, quanto tangibile, in grado di lasciare un segno indelebile.

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