Caro Bertolaso, la storia non conosce «fascisti che sputano sul Tricolore»

12 Mag 2016 12:24 - di Niccolo Silvestri

E qui bisogna mettersi d’accordo, caro Bertolaso: non è che possiamo dare del “fascista” a chiunque ci stia sugli attributi o del quale, a torto o a ragione, vogliamo vendicarci. Certo, lo sappiamo, quella del fascista-tà-tà-tà usata come raffica letale è una storia vecchia. Che scorre come un fiume carsico nel lessico della politica nazionale (ma non solo) per riaffiorarvi ogni qualvolta lo scontro politico si sposta dalle idee alle persone, cioè quasi sempre di questi tempi. Ma lei, ce lo lasci dire, nell’intervista a Repubblica ha proprio esagerato.

Così Bertolaso ha definito Salvini, già “comunista padano”

In tutti questi decenni ci avevamo fatto il callo a veder rimbalzare il presunto epiteto da un campo all’altro e a ritrovare insigniti di fascismo americani, maoisti, khmer rossi, vietcong, lepenisti, islamisti e persino sionisti. Nella declinazione domestica, invece, medesima accusa è planata su celerini, blackbock, craxiani, berlusconiani, clericali, piduisti, mafiosi, barbe finte e generali in pensione. Ognuno per un motivo, una circostanza, un gesto. Lei, però, arrivando a definire Matteo Salvini «un fascista che sputa sul tricolore» ha davvero passato il segno. Ci affidiamo alla sua intelligenza, dottor Bertolaso, e alla sua cultura: un fascista che sputa sulla propria bandiera è un ossimoro storico, una boutade priva di senso. Solo Walter Veltroni, l’unico anticomunista con in tasca la tessera del Partito comunista, potrebbe darle ragione. Un «fascista che sputa sul tricolore» non esiste in natura e infatti Salvini viene addirittura dai “comunisti padani”. Per lui, forse, passare dalla bandiera rossa dei furori giovanili a quella verde-leghista dell’impegno maturo non è stato traumatico. Ma, vede, chi è “fascista” nell’accezione più lata del termine, con il tricolore c’è nato e, in più di un caso, anche morto.

L’ex-capo della Protezione Civile è un gaffeur eccezionale

Chi è “fascista”, sempre nell’accezione più lata del termine, il tricolore lo esibiva anche quando non era di moda. Al contrario dei molti che se sentivano imbarazzati proprio perché – sostenevano – rinviava alla retorica nazionalista del Regime. Forse ci sbaglieremo, ma osiamo pensare che neanche lei, ove mai avesse diretto in quegli anni la Protezione Civile, si sarebbe sentito a suo agio nella polo d’ordinanza con bordino tricolore. Non le sarebbe convenuto. Ecco perché, caro Bertolaso, le consigliamo di tornare ad occuparsi delle cose in cui eccelle senza più incorrere in quelle gaffe che, ancora un paio di settimane da candidato, rischiavano di ridurla a macchietta. E soprattutto, per piacere, non sputi sulla storia.

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