Altro che barbari, fu l’artrosi a mettere “in ginocchio” gli antichi Romani

25 Mag 2016 13:01 - di Niccolo Silvestri

Più che i barbari alle porte dell’Impero, fu l’artrosi a mettere in ginocchio gli abitanti dell’Urbe, piegando schiene e arti degli antichi Romani con un dolore oggi ignoto. A svelarlo, è il più grande studio nel suo genere, realizzato su oltre duemila scheletri da una equipe composta da due ortopedici, tre antropologi, due radiologi e due storiche della medicina, in un volume (Bones: Orthopaedic Pathologies in Roman Imperial Age) che aiuta a completare un tassello della storia medica.

Lo sostiene uno studio: analizzati 2000 scheletri

Il libro è stato presentato dall’ortopedico oncologo Andrea Piccioli, direttore del Giornale italiano di Ortopedia e Traumatologia nonché componente del Comitato scientifico dell’Istituto Superiore di Sanità. Piccioli ha curato la ricerca assieme a Maria Silvia Spinelli, anche lei ortopedico, le antropologhe Carla Caldarini e Federica Zavaroni, e Silvia Marinozzi, storica della medicina. Il lavoro – proposto e finanziato dalla Siot (Società italiana di ortopedia e traumatologia) in collaborazione con il servizio di Antropologia della Soprintendenza speciale per il Colosseo, il museo Nazionale Romano e l’Area archeologica di Roma e con la partecipazione del Servizio di Storia della Medicina dell’Università La Sapienza – rappresenta una possibilità senza precedenti nella letteratura scientifica per il numero di soggetti esaminati, trovati nella varie campagne di scavo delle necropoli suburbane di Roma, con esami fotografici integratati da moderne tecniche di imaging, ad esempio la Tac, così da valutare lesioni da artrosi impossibili da scoprire prima.

L’artrosi colpiva a 30 anni e causava un dolore oggi ignoto

Nell’antica Roma la malattia arrivava presto, già a 30 anni: le articolazioni soffrivano per il terribile carico di lavoro a cui lo scheletro era sottoposto. Nessuna prevenzione, nessuna cura. Le fratture venivano ricomposte senza intervento chirurgico, e gli arti venivano ingabbiati in una struttura di legno in attesa della guarigione. «Abbiamo scattato una fotografia di un’epoca lontana – ha spiegato Piccioli -, che ci ha mostrato storie di uomini e malattie che ci hanno sorpreso e a volte emozionato. Erano donne e uomini abituati a vivere e lavorare convivendo spesso con patologie dolorose ed invalidanti. Oggi è impossibile anche solo pensare di vivere con quelle sofferenze fisiche». Insomma, quel che non fecero i barbari, poté l’artrosi.

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