Adozioni gay, due sì dei giudici di Torino: ha inizio la giurisprudenza creativa

27 Mag 2016 15:16 - di Guglielmo Federici

Tutto come previsto, la stepchild adoption esce (per modo di dire) dal Parlamento e rientra dalla finestra, dai Tribunali. È l’era della giurisprudenza creativa, bellezza! Dopo due sentenze del Tribunale dei minori di Roma che hanno riconosciuto l’adozione dei figli del compagno ad alcune coppie gay, ora tocca alla Corte d’appello di Torino che dà un doppio via libera: uno a una donna che ha chiesto e ottenuto di adottare il figlio di cinque anni della donna che nel 2015 aveva sposato in Islanda. Il secondo sì è quello dato a due donne, conviventi dal 2007 e sposate in Danimarca nel 2014, che volevano adottare le rispettive figlie – nate con inseminazione artificiale – che attualmente hanno 7 e 5 anni. In entrambi i casi un magistrato della procura generale di Torino, Giulio Toscano, aveva dato parere favorevole.

Adozioni gay: il Pd se ne lava le mani e i giudici decidono

«Quello che avevamo detto si sta drammaticamente verificando. La norma sulle unioni civili avalla questa sentenza e di fatto apre a adozioni gay e utero in affitto. La presa in giro di Alfano che aveva raccontato che tutto era risolto, viene smentita e certifica che ha venduto qualsiasi valore alla poltrona. Per garantirsi i favori di Renzi hanno svenduto il diritto dei bambini di avere un papà e una mamma». Così a caldo Massimiliano Fedriga, capogruppo alla Camera della Lega Nord. Come previsto, la politica latita e la magistratura supplisce. Il via libera alla stepchild adoption per due coppie omosessuali sposate fuori dall’Italia è il risultato ben poco brllante di una legge lacunosa, come il ddl Cirinnà, «che sulle adozioni nelle unioni omoaffettive ha scelto di non scegliere», dichiara la deputata di Forza Italia Annagrazia Calabria. «Alla stepchild adoption, che spiana la strada alla pratica inaccettabile della maternità surrogata, si deve dire chiaramente di no. Il Pd non ha voluto farlo, per pura propaganda, e ha lasciato che ad introdurla di fatto nel nostro ordinamento fossero delle sentenze giudiziarie. Un atteggiamento ipocrita e pilatesco, tipico di chi non intende assumersi le proprie responsabilità»

 

 

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