Processo alla jihadista Fatima, i legali cercano di bloccare il dibattimento

13 Apr 2016 17:27 - di Paolo Lami

Con la richiesta di nullità del decreto di latitanza le difese hanno cercato di bloccare, senza riuscirci, il processo che si è aperto oggi a Milano, nell’aula bunker di piazza Filangieri, con al centro la vicenda di Maria Giulia “Fatima” Sergio, la prima foreign fighter italiana da anni latitante in quanto in Siria a combattere con l’Isis.
La donna è imputata per terrorismo internazionale con altre quattro persone, tra cui il marito albanese Aldo Kobuzi, anche lui nel Califfato, e il padre Sergio Sergio, agli arresti domiciliari.
Stamane gli avvocati Anna Maria Saporito, Mariangela Lavorano ed Erika Galati, hanno chiesto ai giudici della Corte d’Assise, presieduti da Ilio Mannucci, di dichiarare la nullità del decreto di latitanza e di conseguenza di tutti gli atti processuali successivi, sostenendo che non vi è prova che i loro assistiti fossero a conoscenza del procedimento a loro carico a partire dall’ordinanza di arresto. Eccezione respinta dalla Corte che ha elencato una serie di elementi agli atti dell’indagine della Procura «che rendono certa la consapevolezza di tutti gli imputati, dichiarati latitanti, di un provvedimento restrittivo» nei loro confronti. Tra questi due interviste rese dalla stessa Fatima prima e dopo la misura di custodia cautelare emessa il primo luglio 2015 nei confronti dei suoi familiari.
Dopo di che il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e il pm Paola Pirotta hanno illustrato la loro richiesta di prove: testi, foto e documenti, tra cui un “manuale” sulla “hijrà“, la cosiddetta migrazione verso Daesh scaricato su uno dei pc sequestrati dalla Digos nel corso degli arresti, e quello diffuso sul web dal titolo “Lo Stato islamico, una realtà che ti vuole comunicare”. E ancora 160 conversazioni telefoniche e telematiche delle quali 85 in italiano, 28 in arabo, 45 in albanese, una in francese e una in parte in arabo e in parte in russo. Conversazioni sui cui accusa e difesa non hanno trovato l’accordo per la loro acquisizione nel fascicolo processuale. Per tanto i giudici hanno disposto la loro trascrizione in forma peritale e hanno rinviato il dibattimento al 4 maggio per nominare gli esperti che si occuperanno della traduzione. Oltre a Fatima, al padre, e Aldo Kobuzi, alla sbarra ci sono altri due latitanti. Si tratta di Donika Coku, madre di Aldo Kobuzi, e Haik Bushra, donna di origine canadese che avrebbe avuto un ruolo decisivo nell’indottrinamento e nell’arruolamento di Fatima e della sorella Marianna, condannata a 4 anni e 4 mesi in abbreviato, nelle file dell’Isis.

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