Isis, la Tunisia teme un attacco dei miliziani jihadisti dalla Libia

23 Apr 2016 10:50 - di Bianca Conte

Il presidente della Tunisia Beji Caid Essebsi non ha dubbi: i militanti dell’Isis obbediscono a dettami politici e a mire espansionistiche che nulla hanno a che fare con precetti religiosi e fede. Per combatterli, dichiara tra le righe di un’intervista rilasciata alla Stampa, la riposta non può e non deve essere solo militare. Eppure, nelle stesse ore in cui si svolge il colloquio gionalistico l’Isis afferma atrtraverso la propria agenzia di notizie Amaq di avere abbattuto un caccia siriano vicino Damasco e di averne catturato il pilota

Tunisia, la ricetta ber sconfiggere l’Isis di Beji Caid Essebsi

Rispondere all’odio stragista con richiami a un origianrio spirito democratico e a un modello multiculturale annientato sotto i colpi dell’oscurantismo terroristico. Per il presidente della Tunisia Beji Caid Essebsi, potrebbero essere queste le coordinate vincenti da seguire nella lotta all’Isis. L’intervento militare russo in Siria, sostiene il leader del Paese in cui, per primo, è nata la Primavera Araba, «li ha indeboliti in Medio Oriente» e ora affluiscono «a grandi numeri» in Libia, dove contano su almeno 3000 islamisti tunisini. La ricetta del presidente della Tunisia Beji Caid Essebsi, intervistato dalla Stampa, consiste allora nel «respingerli e sconfiggerli» e nel consolidare l’«eccezione tunisina», ovvero quella che caratterizzerebbe un Paese-nazione costruito da Habib Bourguiba, primo presidente, «con le fondamenta democratiche e multiculturali» per «dare agli islamisti una risposta non solo militare», perché ciò che conta di più è «rafforzare i diritti delle donne, sconfiggere l’analfabetismo e la disoccupazione».

La minaccia dell’Isis alla Tunisia parte dai campi della Libia

Il presidente tunisino spiega la minaccia dell’islamismo terrorista: «Isis è in Libia, a ridosso delle nostre frontiere. L’intervento militare russo in Siria e i colpi subiti da Isis anche in Iraq li hanno spinti a organizzarsi in Libia. In particolare, nella regione di Sirte dove hanno sostituito i gheddafiani e controllano un’area di oltre 200 km di costa. A Sabrata, in Tripolitaniasi addestrano per attaccare la Tunisia con operazioni terrestri: hanno campimunizioniarmi e addestratori. Possono contare su un consistente numero di tunisini che si sono uniti a loro. È da Sabrata che sono partiti per attaccarci a Ben Guerdane. È stata un’incursione dentro il nostro territorio. Hanno sconfinato, volevano insediarsi in un centro urbano. Li abbiamo respinti grazie alle nostre forze di sicurezza e anche grazie agli abitanti che non li volevano, non li hanno aiutati e hanno collaborato per respingerli. «Ma la risposta – sottolinea in conclusione Essebsi – non può venire solo dalle armi. È importante anche il messaggio religioso: non sono musulmani, né rappresentano l’Islam».

Il “giallo” dell’abbattimento del caccia siriano

Intanto, mentre al tavolo diplomatico si cerca incessantemente una soluzione – soprattutto militare – alla minaccia dei miliziani jihadisti al seguito del Califfo, l’Isis propaganda l’ultima offensiva ccompiuta contro un mig nemico, affermando di avere abbattuto un caccia siriano vicino Damasco e di averne catturato il pilota. L’annuncio arriva tramite l’agenzia di notizie Amaq dell’Isis, postando un video che mostra i rottami di un MIG-23 che sarebbe stato abbattuto con armi antiaeree vicino al monte Dakwah, a sud-est di Damasco. Nelle immagini si vedono jihadisti che camminano su parti dell’aereo che hanno insegne siriane. Secondo Amaq il pilota si chiama Azzam Eid e si sarebbe paracadutato vicino al luogo dove è caduto il Mig. Non solo: la notizia, a cui è seguito un secco «no comment» di Damasco, è stata poi confermata anche dall‘Osservatorio siriano per i diritti umani (Ondus), citato da vari media internazionali, che però non ha specificato se il cacciabombardiere sia stato abbattuto dal fuoco nemico o se sia caduto per un guasto tecnico. Né l’Ondus è stato in grado di fornire informazioni sulla sorte del pilota. Una sorte su cui incombe pericolosamente il ricordo di quanto accaduto nel febbraio dello scorso anno, quando l’Isis rilasciò il video-choc della pubblica «esecuzione» di un giovane pilota di caccia giordano, Muaz al Kassasbeh, catturato un paio di mesi prima e poi brutalmente bruciato vivo all’interno di una gabbia. Un’atrocità che sollevò lo sdegno in tutto il mondo e forti proteste in Giordania. Amman come rappresaglia compì nuovi raid e impiccò due terroristi, fra cui una donna, di cui l’Isis aveva chiesto il rilascio.

 

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