Fondo Atlante: una bad bank per i non performing loans?

14 Apr 2016 13:32 - di Enea Franza

I non performing loans (anche NpL) sono dei crediti posseduti da imprese bancarie e non, per i quali la riscossione è incerta sia in termini di rispetto della scadenza che per ammontare dell’esposizione. Si tratta, in buona sostanza dell’insieme di incagli, sofferenze, crediti ristrutturati e scaduti. In Italia l’importo dei NpL ammontano a quasi 300 miliardi di Euro una cifra che, a stare ai dati dell’Istituto d’emissione, rappresenta per il solo settore bancario circa il triplo di quanto fosse nel 2008, l’anno dal quale è partita la grande crisi dei mercati finanziari. L’enorme importo ha alimentato le spinte per la creazione di un mercato di tali prodotti. In tale senso si sta muovendo la Banca Centrale ed il Governo. Nel decreto legge “Misure urgenti per la riforma delle Banche di Credito Cooperativo (BCC) e altre disposizioni urgenti per il settore del credito”, attualmente in esame in parlamento, oltre a contiene la riforma delle Banche di Credito Cooperativo (Bcc) viene recepita nella legislazione italiana l’accordo raggiunto con la Commissione Europea sullo schema di garanzia per agevolare le banche nello smobilizzo dei crediti in sofferenza. Per favorire tale smobilizzo, è stato previsto una imposta di registro nella misura fissa di 200 euro per la vendita di immobili a seguito di esecuzione forzosa, anziché del 9%.
Ma, chiediamoci, un mercato dei non performing loans a chi darebbe beneficio ? Per le banche che cedono i Npl, il vantaggio è legato al fatto che possono liberarsi di una partecipazione ormai inserita in bilancio già a prezzi stracciati, ma che rischia di impoverirsi ulteriormente, e la cui vendita a appositi intermediari specializzati non dovrebbe provocare ulteriori minusvalenze ma, al contrario, consentirebbe d’incamerare con rapidità risorse fresche. L’interesse per gli acquirenti, invece, sarebbe legato al fatto che i prezzi in bilancio di questi Npl sono molto ridotti rispetto al valore nominale e questo dovrebbe consentirgli di riuscire in tempi più comodi di ricavare plusvalenze importanti. Per esempio, se una banca ha iscritto in bilancio un Npl a 20 rispetto ai 100 di nominale, chi lo acquista può adoperarsi per recuperare anche poco più di 20 per realizzare un ottimo guadagno: se, per esempio, lo rivendesse dopo due anni a 25 ne ricaverebbe un 25% nei due anni. C’è, inoltre, da sperare in una ripresa che porterebbe i creditori ad avere più economiche per saldare il debito, ovvero, a vendere i beni immobili a maggior prezzo. Un buon investimento, quindi!
Ci sono anche terzi probabili beneficiari. Infatti, la dismissione dei NpL su scala nazionale, potrebbe incrementare l’appeal delle nostre banche agli occhi degli investitori esteri e favorirne l’acquisto da parte di soggetti esteri. Il pensiero va, naturalmente, a situazioni incancrenite come quella del Monte Paschi di Siena.
Tutto bene allora ? Non proprio. Infatti, ci sono dei soggetti che perdono certamente. Non si necessitano, in merito, particolari competenze economiche (o doti divinatorie) per comprendere che si tratta dei creditori ceduti, ovvero, di lavoratori dipendenti o autonomi colpiti dalla crisi e che si sono indebitati con le banche per l’acquisto della casa di abitazione, nonché, di imprenditori che hanno chiesto finanziamenti dietro garanzia su beni propri o capannoni industriali.
La risposta del governo in linea con i desiderata della BCE sembra essere quella di alimentare un mercato che già oggi mostra molto interesse verso questi titoli e che, a stare agli studi di società indipendenti, potrebbe salire fino a 10 miliardi entro il prossimo anno. Nonostante i dubbi che legittimamente possono nascere, la misura potrebbe essere ben equilibrata se teniamo conto dell’attività dell’istituendo fondo (c.d Fondo Atlante), promosso dal Governo e lanciato da Quaestio Capital Management Sgr, che tuttavia, parte con una dotazione compresa tra i 4 e i 5 miliardi di euro effettivamente sotto dimensionata rispetto alle stime internazionali, che danno, per il nostro paese, una percentuale dei NPL oltre l’11% rispetto agli impeghi. Le risorse arriveranno, che a quanto pare arrivano prevalentemente da soggetti bancari privati (in particolare Unicredit e IntesaSanpaolo con un miliardo di euro ognuna, ma anche UBI Banca, Generali, Unipol e Cattolica, nonché le Fondazioni Bancarie, che potrebbero contribuire per somme fino a mezzo miliardo di euro) ma anche una partecipazione, anche se minoritaria, della Cassa Depositi e Prestiti.
Sembra che il Fondo Atlante utilizzerà il 70% della sua dotazione per gli aumenti di capitale e il 30% per le sofferenze. In particolare, i NPL, potranno essere deconsolidati dai bilanci bancari in modo di gran lunga superiore visto che Atlante (a quanto è dato sapere) concentrerà i propri investimenti sulle tranche junior di veicoli di cartolarizzazione, lasciando quelle a maggior seniority ad altri, vista il manifesto interesse da parte degli investitori per questa categoria di titoli.

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