Assolta la sorella di Giuseppe Uva: non diffamò poliziotti e carabinieri

18 Apr 2016 18:01 - di Paolo Lami

Colpo di scena al processo per diffamazione promosso da alcuni esponenti delle forze dell’ordine nei confronti di Lucia Uva, la sorella di Giuseppe Uva morto nel giugno del 2008 all’ospedale di Varese dopo aver trascorso parte della notte nella caserma dei carabinieri: nonostante la richiesta del pm di Varese, Giulia Troina, di condannarla a un anno e due mesi di carcere, Lucia Uva è stata assolta dall’accusa di diffamazione aggravata “perché il fatto non costituisce reato”. Al centro del processo alcune dichiarazioni mandate in onda nell’ottobre 2011 nel programma televisivo Le Iene, frasi scritte su Fb e un’intervista del documentario “Nei secoli fedele”.
In particolare, intervistata da un’inviato della trasmissione di Italia 1, Lucia Uva aveva fatto riferimento a botte e a una presunta violenza sessuale subita dal fratello in caserma.
Nella sua requisitoria il pm ha sottolineato che l’ipotesi di uno stupro era «frutto di una congettura non supportata da alcun elemento di riscontro oggettivo» contenuto nelle perizie e negli atti disponibili all’epoca dell’intervista e che «non vi era alcun elemento per consentire all’imputata di affermare con certezza la sussistenza di botte o violenze perpetrate nella caserma”» che, anche in questo caso, erano una «mera congettura». Nelle interviste e su Facebook, quindi, «sono state affermati come veri fatti non desumibili da dati processuali per additare poliziotti e carabinieri, a distanza di anni, come stupratori e barbari picchiatori di persone indifese».
Venerdì scorso due carabinieri e sei poliziotti sono stati assolti dall’accusa di omicidio preterintenzionale, nel processo con al centro la morte di Giuseppe Uva.
«Chiedo scusa alle divise, che ho sempre rispettato, non agli uomini», ha detto Lucia Uva poco dopo l’assoluzione, «so di avere sbagliato, di avere detto delle cose troppo forti in un momento di sconforto ma non sono felice per questa assoluzione – ha proseguito – dopo otto anni lo Stato non mi ha ancora detto perché Giuseppe è morto e continuerò a chiedere la verità».

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