Le imprese chiudono o licenziano. E il governo brinda e parla di “ripresa”

1 Mar 2016 12:33 - di Alberto Fraglia

Dopo il Rapporto della Commissione Ue sullo stato della nostra economia, dati tutt’altro che confortanti per l’Italia,  arrivano le rivelazioni dell’Istat che si prestano a valutazioni contrastanti. C’è chi, come il ministro del Lavoro, Poletti si lascia trascinare nell’euforia, nel commentare i dati sull’occupazione. «Un grande risultato! Sono felice..», dice. E giù la solita tiritela sulla bontà della riforma del Jobs Act.  Ma è proprio così? L’aumento dei posti fissi tra dicembre e gennaio non incide – ecco un elemento da non trascurare – sul tasso di disoccupazione generale che, sempre a gennaio, è pari all’11,5%, ossia pressoché stabile sia rispetto a dicembre che ai quattro mesi precedenti. Come pure va analizzato con attenzione il dato sugli inattivi, ossia sulle persone che pur essendo in età da lavoro restano fuori dal mercato. A gennaio si registra una diminuzione degli inattivi tra i 15 e i 64 anni. Un meno 1,7 per cento. Il dato, però, è dovuto con tutta probabilità prevalentemente alla stretta sull’accesso verso la pensione che tiene le persone più a lungo al lavoro. Infatti, il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) a gennaio risale, portandosi al 39,3%, il valore più alto dall’ottobre scorso.  Quel che appare più preoccupante è il rallentamento di circa un punto percentuale del manifatturiero italiano. A febbraio il valore riferito alle piccole e medie imprese scende a 52,2 appunti da 53,2 del mese precedente, segnando i minimi da 12 mesi. Alla luce di questi elementi lo 0,8 di crescita del Pil registrato sempre dall’Istat nel 2015 appare fin troppo flebile per poter assicurare al Paese una ripresa consistente e la fuoriuscita dalla crisi che ci perseguita da otto anni. Per non parlare della pressione fiscale. Nel 2015 ci sia attesta al 43,3 % del Pil, che è il livello più basso dal 2011, quando aveva segnato 41,6%. Fino a quella data il governo Berlusconi, nonostante la crisi globale esplosa tre anni prima con la finanza drogata da titoli tossici immessi sul mercato dalle banche americane, era riuscito a confermare il trend di riduzione della tassazione generale su imprese e famiglie. Quanto al debito dell’Italia, viaggiamo ormai su livelli record. Nel 2015 abbiamo toccato il 132,6% del Pil. In valore assoluto, circa 2.170 miliardi di euro. Una cifra mostruosa. Per la quale l’Europa continua a ritenerci un Paese vulnerabile.

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