“Tempi moderni”: così Charlie Chaplin raccontò quanto era orribile l’America

5 Feb 2016 16:19 - di Gioacchino Rossello

Charlot di “Tempi moderni” compie ottant’anni. E li mostra tutti. Perché quello era il racconto della Grande Depressione, del colosso ammalato. Era l’America delle fabbriche abbandonate, degli scioperi, della povertà dilagante. E dei fallimenti e dei suicidi e dei titoli di borsa uguali a carta straccia. L’America degli anni venti. “Tempi moderni” fu la risposta geniale dell’artista alla crisi. Charlie Chaplin, che di politica era inzuppato, capì il bisogno di urlare la disperazione. E  lo fece con ciò che meglio padroneggiava: la sua maschera. Così approdò sulla scena la brutalità del capitalismo, la disumanizzazione dell’operaio alla catena di montaggio, l’ingiustizia sociale, la povertà sempre opprimente eppure vissuta come fatale normalità. Tutto e tutto insieme. Ogni verità uno spunto, un’idea per sparare sullo spettatore la più roboante raffica di gag comiche del perenne Charlot. L’eroe muto nell’epopea del bianco e nero. Furbo e sfortunato, piegato da un destino che non può essere più cinico e più baro. Sornione e reattivo obbligava lo spettatore a sgranare gli occhi e poi sbracare nella più liberatoria delle risate. Tutto il vero e l’orribile dell’America. Ecco chi era Charlot di Charlie Chaplin: il lievito istantaneo del successo planetario di “Tempi moderni”. Perché dell’America si rideva. Eccome se si rideva. Perché non rappresentava né il mondo né la sua quintessenza. Perché allora c’era di più e di meglio. E, per esempio, c’era l’Italia. L’Italia di allora, motore planetario di innovazione e giustizia sociale. Con le nostre 40 ore settimanali e i circoli dopolavoro, con le colonie estive per i bambini e la previdenza sociale, con l’agricoltura trainante e l’Istituto di ricostruzione industriale, con le tutele per i lavoratori e la previdenza infortuni. Riguardiamolo perciò “Tempi moderni”. Rilassiamoci e sorridiamo ancora con Chaplin e il suo Charlot, ottant’anni dopo. E magari spieghiamo a chi non sa che quella denuncia così vera e così drammatica non ci appartiene. Perché, allora, stavamo meglio noi. Ma, molto meglio.

 

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