Ddl Cirinnà, c’è un’altra aberrazione: il “matrimonio” a propria insaputa

3 Feb 2016 15:52 - di Corrado Vitale

Non solo gay e stepchild adoption , c’è un’altra aberrazione nel ddl Cirinnà di cui poco si parla, ma che rischierebbe, se diventasse legge,  di violare pesantemente i diritti individuali e la libertà delle persone. Lo potremmo definire, senza esagerazione, il “matrimonio a propria insaputa” e “obbligatorio”. Ci riferiamo in particolare alla parte della legge che stabilisce l’obbligo del mantenimento anche nel caso di cessazione di una convivenza di fatto. L’onere  a carico dell’ex convivente economicamente più forte è analogo a quello dell’ex coniuge. È bene precisare che non parliamo di una “unione civile”, perché i due conviventi non si sono recati davanti all’ufficiale di stato civile, insieme con due testimoni, a registrare il loro legame. Le due persone (possono essere  sia etero sia omo) convivono e basta. Il caso più frequente è quello di una ragazzo e una ragazza che decidono di vivere insieme per un certo periodo prima di intraprendere passi più impegnativi. Succede spesso tra i giovani. E da parecchi anni. Attenzione perché, se alla fine la coppia “scoppia” e si scioglie , a uno dei due (o ai parenti di questi) potrebbero capitare guai che non avevano né previsto né voluto.

Qualche giurista comincia a dare l’allarme. «Incredibilmente – rileva Luca De Vecchi sul sito gli Stati generali – si è parlato poco o niente del capo secondo del ddl  Cirinnà che disciplina, invece, le convivenze di fatto». Accanto a profili giuridici che non destano problemi (come ad esempio il diritto alla reciproca assistenza sanitaria) vi sono due disposizioni che invece i problemi li creano, eccome. Uno riguarda la destinazione della casa comune in caso di morte del proprietario. Il ddl Cirinnà prevede che in tale caso il «convivente di fatto superstite abbia diritto di continuare ad abitare nella stessa casa per un periodo pari alla convivenza per un minimo di due anni e un massimo di cinque (art. 13, c. 1-2). Il che significa che, senza che il proprietario abbia mai previsto alcunché, gli eredi legittimi si troverebbero danneggiati da una situazione “di fatto” come la convivenza. La cosa bizzarra di questa previsione è che essa è valida “ex lege” e cioè a prescindere dal consenso, prestato in vita, del proprietario defunto. In altre parole, non si scappa».

L’altra disposizione riguarda appunto l’ “Obbligo di mantenimento o alimentare”: il ddl Cirinnà  stabilisce, in caso di cessazione della convivenza di fatto, il «diritto del convivente a ricevere dall’altro quanto necessario per il suo mantenimento oltre agli alimenti per un periodo determinato in proporzione alla durata della convivenza. In altre parole i fidanzati conviventi che decidono di lasciarsi si trovano vincolati a obbligazioni di natura patrimoniale simili a quelli derivanti dal matrimonio, con la sola differenza della, non ben precisata in termini quantitativi, temporaneità. Anche in questo caso, non c’è modo di sfuggire da questa previsione». Insomma, il ddl Cirinnà non si limita ad attribuire  “diritti” privi di fondamento logico, ma stabilisce anche obblighi contrari al buon senso comune.

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