Menia: «Il Giorno del Ricordo ha riaperto un libro che era stato chiuso»

10 Feb 2016 8:10 - di Antonio Pannullo

In occasione del Giorno del Ricordo delle foibe e dell’esodo giuliano dalmata, l’onorevole Roberto Menia – promotore della legge istitutiva dello stesso nel 2004 e Segretario generale del Ctim (Comitato tricolore per gli Italiani nel mondo) – prenderà parte alla Cerimonia ufficiale di Stato che si terrà il 10 febbraio in mattinata al Senato della Repubblica. Abbiamo raggiunto Roberto Menia, già segretario del Fronte della Gioventù di Trieste, protagonista di numerose battaglie per l’italianità dell’Istria, Fiume e Dalmazia insieme con l’indimenticato Almerigo Grilz, nonché deputato di Alleanza nazionale per cinque legislature, sul treno che lo porta a Reggio Emila, dove parteciperà a un convegno sulla Giornata del Ricordo. In questi giorni Menia è impegnato con le numerose associazioni degli esuli in un tour per le scuole di tutta Italia per raccontare cosa veramente accadde in quegli anni a opera dei partigiani titini, i quali, appoggiati dai comunisti italiani, infoibarono, uccisero e annegarono migliaia di italiani colpevoli solo di essere tali. «Ogni anno si rinnova per me – dichiara Menia – l’orgoglio di aver compiuto, con tutto il Parlamento, un grande atto di verità e riconciliazione nazionale. È stato un percorso difficile, ostacolato da un colpevole silenzio e tante omissioni, ma anche di iniziative e battaglie intense, che ha condotto al riconoscimento da parte dello Stato italiano di una pagina di storia troppo spesso negata. Ora però è un giorno che unisce tutti gli italiani nel segno dell’onore e del patriottismo». «Il bilancio della legge varata 12 anni fa – dice Menia – è senza dubbio positivo, nonostante delle sacche di negazionismo che ancora persistono. Raccontare agli studenti con la voce dei protagonisti quella triste pagina della storia italiana è un obbligo a cui non dobbiamo sottrarci – osserva Menia –. Il ruolo pedagogico della scuola, intrecciato al dovere della verità storica, ci impongono di fare luce su quei drammi, al fine di impedire che simili barbarie si ripetano a danno di uomini e donne. È solo contando sui valori di pace e di verità che si potranno ristrutturare le fondamenta della Casa Europa in questo momento pericolanti e minate da contingenze e politiche poco lungimiranti».

Per Menia la legge ha sconfitto l’omertà di Stato

Secondo Menia inoltre è stato fondamentale comprendere come si sia progressivamente riusciti a scalfire l’omertà di Stato che per tantissimi anni ha coperto con il suo silenzio la tragedia dei nostri conterranei: «Un bene che nelle scuole si voglia approfondire il dramma della nostra “Italia negata”. Questo è stato un doloroso percorso fatto di colpevole silenzio ed omissioni, ma anche di iniziative e battaglie intense, che ha condotto al riconoscimento da parte dello Stato italiano di una pagina di storia troppo spesso negata». In particolare, la tragedia delle foibe e l’esodo giuliano-dalmata non devono essere soltanto il ricordo di pochi o la nostalgia di un popolo condannato all’esodo e all’oblio, bensì patrimonio di tutti gli italiani. L’obiettivo più importante della legge che istituisce il Giorno del Ricordo – ricorda Menia – è proprio che questo patrimonio torni ad essere di tutti gli italiani. Questo impegno è intimamente connesso a quello per rendere nota la vicenda delle foibe alle giovani generazioni, dopo decenni in cui libri di storia schierati hanno taciuto sull’avvenimento; sono contento perché questa legge, in otto anni, ha permesso una maggiore conoscenza di queste terribili vicende. Anche se, purtroppo, solo il 50% degli italiani sa cosa siano le foibe, i dati dimostrano che sono i più giovani a saperne di più, e questo non può che confortarci ed aiutarci a tramandare la memoria. Una memoria che è stata oscurata troppo a lungo e che è necessario mantenere viva per riuscire a costituire una coscienza storica nazionale, che analizzi lucidamente e senza preconcetti ideologici quanto accaduto ai suoi cittadini e quanto questi abbiano sofferto per massacri di stampo etnico o politico». In conclusione, bilancio più che positivo perché sia pure lentamente ma progressivamente, la legge contribuisce alla creazione di una coscienza nazionale nonché di una vera riconciliazione nazionale che, come ha detto recentemente il cantautore Francesco De Gregori, in Italia ancora manca. «Sì – dice Menia – si è passato dalla totale ignoranza delle foibe e dell’esodo a una lenta acquisizione della coscienza. La nostra legge è riconciliazione, e lo dimostra ad esempio la vicenda di Simone Cristicchi, artista che parte da sinistra ma che poi viene a conoscenza del dramma di quegli anni, viene a Trieste, acquisisce consapevolezza e adesso diffonde la verità di quelle tragedie storiche tra gli italiani. E come lui anche molti altri italiani non sapevano nulla di tutto questo».

Menia: abbiamo raccontato ai giovani tante storie di italiani

Secondo Menia inoltre la legge e la consapevolezza rafforzano anche il recupero dell’italianità in quelle terre, oggi Slovenia e Croazia, perché molti vedono i monumenti italiani, sanno che si parla ancora italiano, e si chiedono come sia potuto accadere. «Non dimentichiamo – ricorda ancora l’esponente della destra – che subito dopo la guerra ci fu una feroce pulizia etnica da parte dei comunisti titini, andata avanti fino al 1960, che colpì gli italiani nel tentativo di far perdere la memoria di essi, cosa che non è successa». Tra le tante storie, particolarmente agghiacciante è quella di Zara, città testimone dell’italianità, i cui abitanti italiani furono annegati dai comunisti, poiché là le foibe non c’erano. 54 bombardamenti e duemila italiani morti sono le cifre della città. Si racconta la storia di un farmacista che riuscì a prendere per il collo uno dei suoi aguzzini mentre lo stava buttando giù dalla barca e lo trascinò con sé negli abissi. «Un’altra storia poco conosciuta – racconta Menia – è quella dei duemila operai di Monfalcone, comunisti, che andarono a Fiume a lavorare, poiché con lo sterminio degli italiani si erano creati vuoti. Ebbene, quando Tito ruppe con Stalin e fece della Jugoslavia un cosiddetto Paese non allineato, gli operai monfalconesi rimasero stalinisti, e pertanto furono deportati da Tito nel lager dell’Isola Calva, dove morirono quasi tutti». In definitiva, la legge ha parto un libro che molti volevano restasse chiuso, ha aperto la strada a storie, racconti, testimonianze, come quella di Graziano Udovisi, uno dei pochissimi sopravvissuti all’infossamento, che ha potuto testimoniare le atrocità commesse dai titini e dai loro complici italiani. «Molti hanno capito – conclude Menia – che c’è un pezzo d’Italia anche dove non ci sono più italiani».

Commenti

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  • paolo Mascalchi 17 Febbraio 2018

    La più vergognosa campagna silenziosa dello stato italiano.