Cenoni, estetiste e alberghi: gli sprechi del consigliere siciliano del Pd

17 Feb 2016 17:44 - di Redazione

La Corte dei conti (presidente Luciana Savagnone, Giuseppe Cernigliaro relatore, Adriana Parlato giudice) ha condannato Cataldo Fiorenza (ex presidente del Gruppo misto dell’Assemblea regionale siciliana, eletto nel Pd), 52 anni, a risarcire la Regione di 42 mila euro per le spese ingiustificate effettuate con i fondi del gruppo parlamentare. Secondo l’accusa avrebbe utilizzato denaro per scopi privati. Il giudizio davanti ai giudici contabili è successivo a un’indagine del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Palermo e riguarda la legislatura precedente, tra il 2008 e il 2012. Nell’attuale legislatura Fiorenza fa parte del gruppo autonomista Partito dei siciliani-Mpa con cui è stato eletto nell’ottobre 2012.

Gli sprechi del consigliere Fiorenza

Fiorenza aveva a disposizione tre carte di credito con le quali ha acquistato 7 mila euro di carburante, 7 mila euro di vestiti, mille euro di gioielli, due mila euro di merce in supermercati, 1.200 euro di oggetti d’arredamento, 4 mila euro di libri, assicurazioni e servizi in centri estetici. Ha speso inoltre 4 mila in ristoranti e quasi 8 mila in viaggi e alberghi. Tra le spese contestate dalla procura della Corte dei conti pure un cenone pagato nel 2011 in un resort a Linguaglossa, nel Catanese, a Elena Mancuso, collaboratrice del Gruppo misto. «Va, ancora una volta, rammentato – si legge nella sentenza – che la gestione delle pubbliche risorse richiede il rigoroso rispetto del vincolo ad esse impresso e che, a tal fine, occorre dare puntuale giustificazione del modo in cui tali risorse sono state impiegate. Il capogruppo, pertanto, non può sottrarsi a tale responsabilità pretendendo di finanziare con fondi pubblici destinati al gruppo parlamentare le più svariate, e quanto mai generiche, “iniziative promozionali sul territorio” o non meglio precisati eventi (per come testualmente riportato nelle ricevute rilasciate all’onorevole Fiorenza) senza documentarne le ragioni e le finalità». E proseguono i giudici: «L’analisi condotta sulle diverse tipologie degli esborsi sostenuti ha dimostrato l’esistenza della colpa grave del convenuto che ha utilizzato le risorse pubbliche con estrema spregiudicatezza, in molti casi per palesi scopi personali». Da qui la condanna al risarcimento di 42 mila euro, mille euro in meno rispetto alla richiesta della procura della Corte dei conti.

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